• Home
  • tematiche
  • I disturbi psichici e le altre disabilità che fanno riferimento al DSM-DP
  • Disturbi del linguaggio (DSL)

Disturbi del linguaggio (DSL)

aggiornato al | Staff | COMPRENDERE I DISTURBI MENTALI

a cura di dott.ssa Marina Porrelli,  psicologa UOS NPIA Bologna Est

Imparare a comunicare attraverso il linguaggio rappresenta forse il processo evolutivo più tipico degli esseri umani e fin dalla nascita i bambini mostrano una vocazione specifica per l’apprendimento delle lingue, riuscendo già a pochi giorni di vita a riconoscere la voce e la lingua materna, differenziandole rispetto ad altre voci o altre lingue e successivamente imparando a utilizzare parole, strutture grammaticali, modi di dire seguendo regole complesse e più evolute delle altre facoltà intellettive.

Normalmente i bambini imparano a parlare in modo spontaneo, in un processo di maturazione cerebrale che viene stimolato dall’interazione con i genitori e con l’ambiente circostante. Inizialmente si sviluppano le capacità di comprendere gli stimoli linguistici, a partire dall’intonazione della frase per arrivare a riconoscere prima le parole e poi il significato delle frasi; quasi in parallelo il bambino comincia a esprimersi, inizialmente con vocalizzi che hanno lo scopo di attirare l’attenzione dei genitori e poi, solitamente attorno ai 7 mesi, con la lallazione (cioè la ripetizione di sillabe), che rappresenta una sorta di allenamento alla pronuncia dei suoni delle parole, che permetterà al bambino di comunicare in modo sempre più intellegibile. Tra i 9 e i 13 mesi compaiono i gesti deittici (ad esempio quando il bambino punta il dito verso un giocattolo al di fuori della sua portata per indicare al genitore che glielo deve prendere) e successivamente i gesti simbolici e il linguaggio vero e proprio: le prime parole vengono di solito prodotte verso il primo compleanno, mentre le prime frasi compaiono quando il bambino ha sviluppato un vocabolario sufficientemente ampio, di solito attorno ai due anni. A partire dai tre anni il linguaggio dei bambini è normalmente già piuttosto articolato, sebbene possano mancare ancora alcuni suoni, e abbastanza completo nell’utilizzo delle strutture grammaticali tipiche di una determinata lingua.

Esiste un’ampia variabilità nello sviluppo delle capacità linguistiche: alcuni bambini possono raggiungere determinate tappe in ritardo rispetto ai coetanei, mentre altri mostrano dei veri e propri disturbi, che si possono situare a vari livelli: difficoltà nel comprendere ciò che viene detto loro (sia a causa di una difficoltà di apprendimento di termini lessicali, sia nel capire il significato delle strutture grammaticali) oppure difficoltà a livello della espressione (ad esempio nella capacità di costruire frasi corrette o di collegarle tra loro per descrivere situazioni, pensieri ed emozioni o per conversare). Questo è ciò che si intende di solito quando parliamo di disturbo di linguaggio o, secondo la definizione usata fino a pochi anni fa, Disturbo specifico di linguaggio (DSL): il Dsl è considerato un deficit del neurosviluppo e fa riferimento a una condizione duratura di difficoltà nell’acquisizione delle abilità linguistiche, le cui cause non sono conosciute, in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi, di gravi carenze socioambientali o di disturbi pervasivi dello sviluppo (come l’autismo). I bambini con DSL sono quindi per definizione bambini intelligenti e senza altre problematiche neurologiche o psicologiche importanti, e per tale motivo il percorso diagnostico prende in considerazione la valutazione di questi aspetti. Più recentemente è stato introdotto il termine di Disturbo Primario di linguaggio (DPL), facendo riferimento a numerosi studi che hanno evidenziato come spesso le difficoltà linguistiche siano associate a deficit in altre capacità cognitive, come la memoria di lavoro e le funzioni esecutive (cioè l’attenzione, la capacità di inibire la propria risposta a uno stimolo ecc.). Infine, nel 2017 uno studio europeo ha proposto la definizione di Disturbo dello Sviluppo del linguaggio, evidenziando soprattutto la sua natura evolutiva, con dei quadri che si modificano ampiamente nel corso della crescita.

In alcuni bambini può essere presente invece un disturbo fonetico-fonologico, che riguarda esclusivamente difficoltà nel produrre in modo sufficientemente accurato i suoni tipici della lingua, facendo così risultare i discorsi del bambino poco comprensibili. Un altro deficit linguistico, molto più raro, è il disturbo della comunicazione sociale (o disturbo pragmatico): i bambini con queste difficoltà faticano nel seguire le regole della conversazione, come il rispetto dei turni o l’uso dei segni verbali e non verbali, non riescono a modificare le loro comunicazioni tenendo conto del contesto o delle esigenze di chi ascolta e a dedurre informazioni poco esplicite o ambigue da quanto viene loro comunicato. Questo tipo di difficoltà ha numerosi punti di sovrapposizione con il disturbo pervasivo dello sviluppo, che devono essere ancora chiariti dalla ricerca.

I disturbi del linguaggio sono probabilmente i più frequenti in età infantile, è considerato un deficit evolutivo e come tale spesso migliora in misura significativa nel corso della crescita. Si è infatti notato come una percentuale tra l ‘11 e il 13% di bambini tra i 18 e i 36 mesi presenta un ritardo nel linguaggio, che però riesce a essere colmato entro i tre anni: in questo caso si parla di late talker (o parlatori tardivi) o late bloomer (quando i piccoli recuperano completamente il ritardo entro la fine del 3° anno di vita).

Questo però non accade in circa il 5-7% dei bambini dove, sebbene sempre in un’ottica di possibile evoluzione positiva, almeno parziale, della funzione linguistica, è importante sostenere con trattamenti logopedici mirati il bambino, evitando così possibili complicazioni, che possono andare dalla frustrazione di non essere capiti, alle difficoltà di socializzazione con i compagni ai disturbi di apprendimento. Le logopediste possono proporre un trattamento ambulatoriale volto a migliorare le capacità che nella valutazione diagnostica sono risultate deficitarie, attraverso modalità che si adattano alle capacità del bambino e lo sostengono nella sua motivazione ad impegnarsi in lavoro sicuramente molto faticoso, dove il gioco ha sempre un ruolo particolarmente importante; possono anche proporre un lavoro di tipo indiretto, in affiancamento o in alternativa al trattamento ambulatoriale, indicando delle attività specifiche da svolgere a casa e a scuola (come la lettura di storie, la creazione di narrazioni con i pupazzi insieme al bambino, la proposta di giochi da tavolo come memory o puzzle adatti all’età del bambino, e tutte quelle attività che permettono di avere più scambi linguistici e migliorare le capacità di attenzione. Un’altra possibilità di intervento indiretto, questa volta indirizzata a facilitare la comunicazione tra il bambino le persone attorno a lui è l’uso di immagini secondo i principi della Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA): l’adozione di questi strumenti permette di creare degli ambienti che facilitano la comunicazione, e motivano il bambino a utilizzare il mezzo linguistico, non solo in presenza di un disturbo linguistico, ma anche quando abbiamo altri tipi di difficoltà nella comunicazione che possono andare da problematiche patologiche come l’autismo a situazioni molto frequenti, come bambini che hanno una scarsa conoscenza dell’italiano perché provenienti da contesti linguistici non italofoni o misti.

I bambini esposti a più lingue rappresentano ormai infatti una fetta considerevole della popolazione infantile del nostro Paese ed è importante sottolineare come il bilinguismo non provochi ritardo nell’apprendimento del linguaggio e tanto meno un disturbo linguistico: circa un terzo della popolazione mondiale è bilingue e i bambini sono perfettamente equipaggiati per imparare a comunicare in contesti plurilingui. È anche importante che i genitori si sentano liberi di parlare la propria lingua madre con i figli sapendo di poter fornire in questo modo degli importanti vantaggi sul piano linguistico e cognitivo (come il miglioramento delle capacità di attenzione e di riflessione sulla lingua) e di capacità di relazionarsi con persone provenienti da diversi contesti culturali. Perché vengano raggiunti tali vantaggi è però necessario che i bambini possano sviluppare entrambe le lingue a livelli sufficienti: per questo, è importante che famiglia e scuola perseguano l’obiettivo di sostenere la diversità linguistica e culturale dei bambini, evitando di cadere nell’errore che l’utilizzo della lingua della famiglia vada a discapito dell’apprendimento dell’italiano. La ricerca ha infatti mostrato come sia più facile per un bambino trasferire concetti e capacità linguistiche dalla lingua madre a quella del contesto sociale piuttosto che imparare in lingua seconda, non perfettamente assimilata, concetti nuovi. Anche nel caso in cui il bambino abbia un Disturbo di linguaggio, il bilinguismo non peggiorerà il quadro, poiché il disturbo tende a manifestarsi nelle diverse lingue allo stesso modo. Poiché però il mantenimento della lingua madre può essere un obiettivo difficile da raggiungere in un contesto come quello italiano, dove l’immigrazione da altri Paesi è un fenomeno recente, appare auspicabile che venga data la possibilità di implementare buone pratiche per il mantenimento della lingua madre in ogni contesto, e in particolare quello scolastico, secondo peraltro le indicazioni già fornite sia a livello europeo che del Miur.



 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

Scorciatoie

Sogni&Bisogni

Associazione Cercare Oltre

presso Istituzione Giancarlo Minguzzi
Via Sant'Isaia, 90
40123 Bologna
Codice Fiscale: 91345260375
email: redazione@sogniebisogni.it

Privacy&Cookies

Privacy Policy Cookie Policy