Percorso DCA (Disturbi del Comportamento Alimentare)

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a cura di Anna-Rita Atti Professoressa associata, Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Settore scientifico disciplinare: MED/25 PSICHIATRIA

I Disturbi dell’Alimentazione sono frequenti soprattutto tra gli adolescenti ed i giovani. E’ più spesso colpito il sesso femminile ma i casi sono in aumento anche tra i maschi ed i bambini e le bambine.

Il tipo di disturbo alimentare più caratteristico, l’anoressia, è facilmente riconoscibile: chi ne soffre, pur essendo già molto magro, desidera un corpo ancor più secco ed asciutto. Per raggiungere questo scopo si sottopone a digiuni o restrizioni alimentari estreme, assume quantità eccessive di lassativi o diuretici per “alleggerirsi” oppure fa intensissima attività fisica. I pazienti affetti da anoressia conoscono a memoria il contenuto calorico di tutti i cibi, quante calorie si consumano in un’ora di ginnastica e passano molte ore della giornata a guardare le etichette dei prodotti per scegliere il più magro, a camminare (magari con uno zaino carico di libri in spalla) o a guardare sul web siti e blog dedicati all’argomento. Di solito dicono che amano cucinare e, talvolta, cucinano per i familiari obbligandoli a mangiare tutto ma poi la loro dieta giornaliere prevede - a titolo di esempio - l’assunzione di 300 o 400 Kcal (insalata scondita, 1 yogurt magro, 1 galletta di riso ed 1 fetta di tacchino) quando l’introito giornaliero dovrebbe essere circa 2000 kcal. La paura di essere aumentate di peso le porta a controllare ripetutamente il proprio corpo ad esempio specchiandosi, pesandosi o toccandosi le ossa. I malati di anoressia hanno l’assoluta convinzione che il proprio corpo sia enorme, grasso, “sformato” o che lo possa diventare. Questo pensiero è insistente e provoca loro molta angoscia per cui possono arrivare ad avere crisi d’ansia, ad urlare ed agitarsi o mentire anche ai familiari più stretti (ad esempio dire che hanno mangiato quando invece non è vero).

Un altro disturbo alimentare rilevante è la bulimia nervosa. Allo stesso modo dei malati si anoressia, anche i pazienti affetti da bulimia vorrebbero essere più magri. In questo caso però i soggetti non riescono a mantenere il controllo ed a mantenere una dieta ferrea ed hanno episodi di abbuffata. Per abbuffata si intende mangiare una quantità incredibilmente grande di cibo. L’abbuffata avviene spesso in modo vorace, frettoloso e magari di nascosto per la vergogna di avere trasgredito. L’abbuffata genera sentimenti di colpa che portano il soggetto a mettere in atto comportamenti volti ad eliminare il cibo assunto, primo tra tutti auto-provocarsi il vomito. Ne consegue che la bulimica è spesso normopeso perché le capita di mangiare tanto ma poi elimina quanto ha mangiato e dunque l’impatto del disturbo sul peso corporeo è minimo. Nonostante ciò, queste condotte alimentari sono estremamente gravi perché a lungo andare l’abbuffarsi ed il vomitare possono lesionare esofago e stomaco o determinare un’alterazione degli elettroliti – in particolare del potassio – che può portare ad aritmie cardiache. Anche il pensiero dei pazienti con bulimia è volto a mantenere un peso molto basso ma, a differenza dell’anoressia, in questo caso ci sono delle dolorose perdite di controllo sulla quantità di cibo assunto che determinano gravi conseguenze sia sul corpo sia sull’autostima. Proprio in virtù del normopeso e del fatto che i comportamenti disfunzionali sono messi in atto in solitudine, la bulimia spesso passa inosservata anche ai familiari ed agli amici più stretti e questo rallenta l’approdo al percorso di cura.

Un terzo disturbo è il cosiddetto Binge Eating Disorder che in Italiano è traducibile come Disturbo da Alimentazione Incontrollata. Si tratta di persone che mangiano in modo incontrollato senza eliminare con il vomito e dunque solitamente acquistano peso e diventano obese. L’obesità determina in sé numerose complicanze mediche (diabete, dislipidemia, apnee notturne, osteoartrosi, etc.) ma nel caso dei mangiatori compulsivi a peggiorare il quadro c’è il fatto di mangiare fuori pasto, di nascosto, in modo del tutto incontrollato con un profondo senso di vergogna, colpa ed insoddisfazione per tale comportamento. Autostima e senso di auto-efficacia ne risultano fortemente compromesse perché il soggetto è letteralmente vittima delle condotte alimentari che lo travolgono e si accompagnano ad un forte disagio nelle situazioni sociali e nei rapporti con gli altri. Spesso una cattiva lettura delle emozioni, un’incapacità a controllarle, ed un’elevata impulsività sono alla base di un comportamento alimentare disfunzionale.

Curare i Disturbi alimentari è possibile: Il trattamento migliore prevede che del paziente affetto da Disturbi alimentari si occupino più figure professionali insieme. Innanzitutto serve un medico specialista in Scienze dell’Alimentazione che, insieme al Dietista, si occupa dei bisogni del corpo (Quante calorie? Quante proteine? Quanti micro-nutrienti? Quale l’approccio alimentare più adeguato?) poi è indispensabile una figura – solitamente lo Psichiatra o lo Psicologo - che si occupi di esplorare i pensieri e le emozioni connesse all’alimentazione ed al corpo. Serve poi qualcuno – Psicologo, Educatore o Tecnico della riabilitazione psichiatrica - che offra sostegno durante il difficile e spesso lungo percorso di cura. Obiettivi del trattamento potranno essere il recupero del peso, l’interruzione del ciclo abbuffata/eliminazione, lo spostamento dell’attenzione dal cibo e dal corpo verso altri ambiti con recupero dell’autostima e del senso di autoefficacia.
Come, dove e quando cercare aiuto per un problema alimentare? Medici di Medicina Generale e Pediatri sapranno indirizzare i pazienti agli ambulatori della psichiatria e della dietologia ove viene fatto un primo inquadramento del caso da parte di tutti i professionisti di cui detto sopra. Una volta identificato il problema, viene proposto un trattamento individualizzato che si articola in modo diverso a seconda della gravità dei sintomi. Il primo livello di cura (casi meno complessi) prevede l’approccio a livello ambulatoriale o ambulatoriale intensivo; il secondo livello di trattamento è costituito dal Day Hospital medico o dal Centro Diurno in cui i pazienti hanno, tra le altre cose, la possibilità di sperimentarsi a tavola venendo assistiti durante i pasti da dietisti ed educatori; il terzo livello (casi più complessi) prevede invece percorsi Residenziali della durata di alcuni mesi in cui vengono messe in campo plurime risorse che, integrate insieme, consentono di intervenire anche nelle situazioni più complesse. È necessario che questi step di cura siano fortemente interconnessi tra loro affinché i pazienti non percepiscano “strappi” o vissuti di abbandono durante il percorso di trattamento ma siano accompagnati verso il recupero di un rapporto più sano con il cibo, il corpo e più in generale con sé stessi.

Vivere a fianco di un paziente con Disturbi alimentari può essere molto complesso e doloroso pertanto è necessario che le famiglie siano accompagnate nella comprensione più profonda del problema: il Disturbo alimentare non è un capriccio, è una malattia; non è mia figlia che mi sta mentendo su quanto ha mangiato, è la sua insidiosa malattia che la porta a comportarsi così!

Nella nostra città esiste un’estesa rete che si occupa della cura dei Disturbi alimentari che comprende tutti i livelli di cura e vede coinvolte multiple professionalità. Esistono ambulatori periferici solitamente ubicati presso le Case della Salute ove viene fatta una prima disamina del caso, ambulatori specialistici ove si completa l’inquadramento diagnostico e si individua il percorso di cura personalizzato per ciascun caso ed infine esistono strutture private convenzionate che fanno capo alla Fondazione Gruber Onlus il cui accesso è a carico del SSN ma subordinato ad una valutazione di idoneità da parte di specialisti del servizio pubblico. È infatti estremamente importante che il paziente affetto da Disturbi alimentari sia indirizzato al trattamento più giusto per lui al momento giusto ad esempio quando è sufficientemente motivato alla cura e quando è in grado di affidarsi. Non esiste infatti “il percorso migliore” ma quello più giusto per quel paziente in quel momento della sua vita e della sua storia clinica. Guarire si può.

All’inizio il mio disturbo alimentare era come un tunnel buio, non vedevo la fine, nessuna via d’uscita. Poi grazie al sostegno dei vari professionisti ho cominciato ad arredare il mio tunnel costruendoci dentro prima dei piccoli cassetti, poi delle nicchie sicure in cui rifugiarmi e, infine, delle finestre e poi la porta, là in fondo…me l’hanno indicata e ho trovato l’uscita.”
Lara, 20 anni.



 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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