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L’inclusione lavorativa dei disabili: una sfida per i servizi del territorio

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a cura di Patrizia Paganini e Claudia Romano, AGENZIA REGIONALE PER IL LAVORO – AMBITO TERRITORIALE DI BOLOGNA

La legge 68/99 ormai in vigore da oltre 20 anni ha contribuito a innovare profondamente il sistema di inserimento lavorativo delle persone con disabilità, tentando di rispondere ai bisogni di cambiamento in atto sia nella società civile sia nel mercato del lavoro.

Articolo Romano
Le innovazioni più significative da elencare della legge sono l’introduzione del concetto di “collocamento mirato“,  l’attivazione dello strumento delle “convenzioni” per adattare i processi di inserimento lavorativo alle esigenze della domanda e dell’offerta di lavoro e al contesto socio-economico locale, l’istituzione di organismi tecnici di valutazione delle capacità/potenzialità dei lavoratori disabili da inserire. Infine l’istituzione di un sistema di incentivi correlato al grado e alle caratteristiche dell’invalidità della persona da assumere e la previsione di un apposito Fondo Regionale per l’occupazione dei disabili (FRD) finalizzato a finanziare iniziative di adattamento delle postazioni lavorative e di orientamento, formazione e accompagnamento dell’inserimento lavorativo.

Il principale elemento di novità è indubbiamente quello legato al concetto di “collocamento mirato “, che rappresenta il superamento della logica impositiva sottesa alla precedente normativa (Legge 482/68) e viene definito all’art. 2 della stessa L.68/99 come “quella serie di strumenti tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto ...”. L’obiettivo esplicito della legge non è quindi il mero reperimento di un lavoro per la persona disabile, ma piuttosto quello di innescare un circuito virtuoso che riesca a valorizzare appieno le potenzialità della persona, le sue capacità e i suoi interessi, allo scopo di facilitarne un pieno inserimento nel contesto lavorativo e sociale.

Sulla base di quanto previsto dalla LR 13/2015, in regione Emilia-Romagna le funzioni relative al collocamento mirato, così come tutte le competenze che riguardano il sistema dei servizi per il lavoro, sono attualmente in capo all’Agenzia regionale per il Lavoro (ARL) che le esercita attraverso la sua rete dei 38 centri per l’impiego (uno in corrispondenza di ciascuno dei distretti socio-sanitari sul territorio regionale) e i 9 Uffici per il collocamento mirato (uno per ambito provinciale). In particolare per quello che riguarda le persone con disabilità gli utenti possono rivolgersi ai Cip (Centri per l'Impiego) per effettuare le procedure amministrative legate all’iscrizione e per la fruizione di servizi di orientamento e di supporto all’inserimento lavorativo. Gli uffici per il collocamento mirato svolgono una funzione di coordinamento e di servizio di secondo livello per quello che riguarda le persone, e gestiscono invece direttamente tutte le attività legate all’ottemperanza della legge da parte dei datori di lavoro, comprese quindi le attività di incontro domanda/offerta, la stipula di convenzioni, etc.

La rete regionale, come previsto dalla normativa vigente e dal Patto regionale per il Lavoro, è composta da diversi soggetti, pubblici e privati, che operano sul territorio in relazione alle tematiche del lavoro: tra questi, tra i più rilevanti ai fini di una completa e ottimale fruizione del ciclo dei servizi, ci sono i soggetti accreditati all’erogazione di politiche attive per il lavoro (ricordiamo che la Regione ha previsto una forma di accreditamento specifica per coloro che intendono operare con utenti fragili e vulnerabili e disabili) e la rete dei servizi sociali e sanitari che, fin dagli esordi della legge 68/99, hanno costituito un interlocutore di riferimento privilegiato per gli Uffici del collocamento mirato sul territorio regionale.
La collaborazione con i servizi sociali e sanitari infatti, oltre ad essere esplicitamente prevista dalla stessa Legge 68/99 e richiesta come strumento di programmazione ineludibile dalla normativa regionale, è un elemento che potremmo definire costitutivo del collocamento mirato, soprattutto quando i soggetti interessati alla ricerca di lavoro hanno sviluppato nel tempo altre forme di fragilità che ne rendono particolarmente difficoltoso l’inserimento nel mercato del lavoro.

Anche in un contesto dinamico e con buone prospettive occupazionali come quello bolognese e regionale (naturalmente il riferimento è alla situazione pre-pandemia) si assiste ad una “polarizzazione“ dei soggetti disabili iscritti al collocamento mirato. Tra questi si ritrovano persone con livelli di occupabilità medio-alta, che con il supporto dei servizi previsti riescono ad inserirsi nel mercato del lavoro in modo soddisfacente, ma anche soggetti con livelli di occupabilità scarsa, perché caratterizzati da diversi elementi di criticità (legati o meno alla disabilità ), quali possono essere le scarse competenze professionali e relazionali, l’età avanzata, e altri limiti di natura “soggettiva“ che rendono particolarmente difficile l’inserimento in contesti produttivi e sono quindi spesso destinati a lunghi periodi di inattività, alimentando così i rischi di esclusione anche a livello sociale.

E’ quindi per superare tali difficoltà che già dal 2005 l’Ufficio per il Collocamento Mirato di Bologna, in collaborazione con i servizi sociali e sanitari del territorio metropolitano, ha scelto di intervenire nella costruzione di un sistema integrato di servizi dove operare, pur mantenendo ciascuno le proprie competenze e i propri ambiti di intervento, per la ”ricostruzione“ di un profilo di occupabilità per quei soggetti disabili che, pur disponibili all’ingresso nel mondo al lavoro, avevano mostrato difficoltà particolari nell’accesso o nella permanenza all’interno del tessuto produttivo.

Gli snodi principali del processo di integrazione come individuato erano relativi alla fase della valutazione, fatta in modo condiviso, delle caratteristiche professionali e personali della persona, ivi compresi eventuali elementi di criticità nel percorso di transizione al lavoro. Successivamente la fase di presa in carico congiunta da parte degli operatori dei diversi servizi interessati, chiamati ciascuno a contribuire al buon esito dell’inserimento, preoccupandosi inoltre di garantire sempre un referente di contatto tra i servizi.
Tali riferimenti, necessari per garantire eventuali interventi di natura sociale e/o il supporto dei servizi di salute mentale per i casi di disabili con problematicità di natura psichica, operavano in parallelo al vero e proprio percorso di inserimento lavorativo, arricchendosi di strumenti metodologici e operativi condivisi, che andavano dalle tradizionali misure di carattere orientativo e valutativo a strumenti formativi e di transizione quali i tirocini. La finalità degli interventi era quella di arrivare ad un inserimento lavorativo, ma nel protocollo era prevista la possibilità di partecipazione, per le persone con maggiori difficoltà, a percorsi di inclusione, con obiettivi di tipo riabilitativo, di benessere personale e integrazione sociale. Non va dimenticato infatti che proprio in quegli anni la Regione Emilia- Romagna regolamentava i cosiddetti tirocini di inclusione (art. 26 nones LR 17/2005 cosi come modificato nella LR.1 del 4/3/2019), rendendo possibile la valorizzazione di esperienze di inclusione lavorativa e sociale per i soggetti più fragili anche in contesti di lavoro non tradizionali, quali il privato sociale, la cooperazione di tipo b, etc. maggiormente in grado di garantire non solo una fonte di sostegno al reddito, ma anche una qualità dell’inserimento, più adeguato e soddisfacente.

Tutta la corposa sperimentazione di percorsi integrati, rivolti a persone con specifiche fragilità (non solo quindi disabili iscritti alla L.68/99) condotta negli anni in tutti i territori provinciali, ha trovato una sua valorizzazione, e soprattutto una precisa e omogenea strutturazione anche a livello operativo, nella L.R.14/2015 “Disciplina a sostegno dell’inserimento lavorativo e dell’inclusione sociale delle persone in condizione di fragilità e vulnerabilità, attraverso l’integrazione tra i servizi pubblici del lavoro, sociali e sanitari“, i cui principali aspetti di innovazione sono sostanzialmente riconducibili all’elaborazione di un “indice di fragilità“, ovvero di uno strumento, condiviso tra tutti i servizi coinvolti, per l’analisi e la valutazione della condizione di fragilità della persona, utilizzato per definire i bisogni dell’utente e le sue principali problematicità in relazione ad un progetto personalizzato di inclusione socio-lavorativa. Quindi la costituzione di equipes multidisciplinari, formate da operatori dei diversi servizi coinvolti, per trattare le persone in condizione di fragilità ed elaborare per loro progetti personalizzati di inserimento lavorativo.

Secondo quanto previsto dalla Legge, quindi, il sistema territoriale dei servizi è chiamato a operare in modo complesso e integrato per garantire sul territorio regionale omogeneità nella valutazione ed equità negli interventi. Anche i progetti personalizzati sono finanziati attraverso modalità di integrazione tra le risorse dedicate al lavoro e quelle necessarie per gli interventi di natura sociale e/o sanitaria. Dopo 5 anni e ormai conclusa da tempo la fase di “sperimentazione sul campo“ è possibile affermare che la norma ha prodotto risultati molto positivi sia per quello che riguarda la capacità di integrazione dei servizi sia per quanto attiene le opportunità rivolte alle persone.
Si osserva infatti un costante miglioramento delle modalità di lavoro degli operatori interessati, che comunicano tra loro in tempo reale, confrontandosi sui singoli casi, evitando così la sovrapposizione degli interventi e/o al contrario la possibile “perdita” degli utenti più in difficoltà nell’espressione della propria richiesta di aiuto; il miglioramento della metodologia di approccio alla vulnerabilità ha portato anche a un incremento consistente delle attività di orientamento, formazione e tirocinio (molti dei quali di tipo inclusivo) attivate per questa tipologia di utenza. Nei tre anni di funzionamento (al netto della prima annualità a carattere sperimentale) sono stati quasi 16.000 gli utenti dei servizi interessati che hanno partecipato a una o più delle misure di accompagnamento al lavoro e all’inclusione sociale previste dalla programmazione integrata regionale; in questo periodo, inoltre le equipes multiprofessionali sono diventate una sede di progettazione e di presa in carico condivisa anche per molti degli interventi finanziati con il Fondo Regionale Disabili, in particolare per quei soggetti disabili con situazioni di multiproblematicità e in carico ai servizi sociali/sanitari, proseguendo e rafforzando così le esperienze di integrazione tra i servizi di cui si parlava in precedenza.

La metodologia di valutazione prevista dalla LR14/2015 è stata poi di fondamentale importanza per una corretta e tempestiva attuazione sul territorio regionale di quanto previsto dal DL 4 del 28 gennaio 2019 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni) soprattutto per la parte che riguarda la richiesta di “valutazione multidimensionale” (art.4 co.5 quater) dei servizi per il lavoro e i servizi sociali sui soggetti con particolari difficoltà ad accedere al mercato del lavoro.
La norma prevede, infatti, che i soggetti appartenenti ai nuclei familiari beneficiari del reddito di cittadinanza con le caratteristiche previste, stipulino con i Centri per l’impiego un “Patto per il lavoro” al fine di concordare le misure di politica attiva più indicate per il loro (re)inserimento nel mercato del lavoro . Di fatto accade spesso che diverse persone, al momento del colloquio con il Centro per l’Impiego, evidenzino problematiche di tipo soggettivo tali da rendere complesso un rapido inserimento nel mondo del lavoro: in questi casi la norma prevede che l’operatore del Centro Impiego possa inviare la persona ai servizi sociali (previa adeguata valutazione multidimensionale concordata con gli stessi servizi) per la stipula del Patto per l’Inclusione, che contempla misure con finalità di inclusione sociale piuttosto che occupazionali; all’opposto può accadere che persone destinatarie del Patto per l’inclusione si rivelino, durante il colloquio con il servizio sociale, potenzialmente in grado di accedere alle misure previste per un inserimento lavorativo e quindi, in questo caso, sarà l’operatore del servizio sociale a inviare la persona al Centro Impiego competente. Come è facile immaginare, quanto previsto dalla norma rischia di rimanere solo un obiettivo formale se non vengono definite prassi, procedure e strumenti di lavoro condivisi tra i servizi; nel caso della Regione Emilia-Romagna il tema è stato affrontato e risolto ricorrendo all’uso dell’indice di fragilità per la valutazione dei casi, e per la costruzione dei percorsi al lavoro delle equipes multiprofessionali, che hanno quindi individuato le misure di inserimento e/o di inclusione più consone rispetto alla condizione soggettiva e ai bisogni delle persone.

I servizi (Centri Impiego e Servizi sociali) hanno quindi avuto la possibilità di collaborare fin dall’entrata in vigore della norma, seguendo procedure già conosciute e utilizzando un sistema di valutazione della condizione soggettiva delle persone (indice di fragilità) trasparente, equo e condiviso.
L’implementazione della complessa normativa sul reddito di cittadinanza è solo l’ultima rappresentazione (ricordiamo che, nella fase di avvio della sperimentazione della L.R. 14/15 sul territorio regionale, i servizi sociali e i Centri per l’Impiego avevano collaborato in modo concreto anche nell’applicazione del REI e del RES) della necessità, sempre più evidente, di un raccordo tra i diversi servizi che operano sul territorio, raccordo che non sia non solo sulla carta, ma nell’operatività quotidiana, per affrontare le complesse problematiche che caratterizzano le persone fragili e vulnerabili, destinate purtroppo ad incrementarsi anche in ragione degli impatti che la pandemia ha e avrà sul sistema socio-economico nazionale e locale.

Solo una visone complessiva, frutto dell’analisi svolta da operatori con diverse competenze, differenti obiettivi di azione, che agiscono mettendo insieme tutte le risorse disponibili in modo convergente sul progetto elaborato ad hoc sulla persona, può assicurare interventi che soddisfino i bisogni di inclusione sociale e lavorativa delle persone, attraverso la ricomposizione di un delicato puzzle, dove devono trovare posto tutte le difficoltà dei soggetti in carico, ma anche tutte le loro risorse e le loro potenzialità.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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