Chiedete aiuto!

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a cura di Psicoradio

 

In questo articolo la madre di una ragazza che ha sofferto di anoressia racconta la sua vicenda. I nomi sono di nostra invenzione; di vero, la storia di una famiglia che è riuscita a superare una prova molto difficile,  e  che vuole offrire qualche consiglio - basato sull’esperienza - ai genitori di ragazze con disturbi alimentari.

 

Rosaria vive col marito e con Maria, la figlia, in un piccolo paese del sud Italia; la loro è una famiglia come tante.  Maria da adolescente ha amici, interessi, e i tipici contrasti dell’età con il padre e la madre. Vuole andare a studiare al nord e inseguire i suoi sogni, anche lontano dalla famiglia.

 

Ci sono momenti però in cui Rosaria vede che la figlia non mangia e si chiude in se stessa;  pensa che sia solo un problema passeggero, legato all’età.  “Mia figlia aveva 14-15 anni. Aveva difficoltà a mangiare. Allora si parlava ben poco di questi disturbi alimentari…  Pensavo che il suo rifiuto del cibo fosse una mania   adolescenziale. Passati un po’ di anni, ho capito che qualcosa non andava, ma quando me ne sono accorta davvero era un po’ tardi”.

 

Circondata dal silenzio, Rosaria comincia anche a pensare che il disturbo alimentare di Maria possa anche essere colpa sua.  “Non potevo parlarne con nessuno, ne’ in casa, ne’ con le persone che mi circondavano, perché  l’argomento era un tabù. Se ne parlava pochissimo, almeno dalle nostre parti. Dire che una ragazza era anoressica era come dire che era una squilibrata”

La mamma spera che le cose si aggiustino strada facendo, tanto più quando la figlia si  trasferisce al nord per proseguire gli studi; forse cambiando ambiente e facendo nuove amicizie la situazione di disagio che si intravedeva in Maria si sarebbe sbloccata.

Le cose però non migliorano, e Rosaria capisce che la figlia ha davvero bisogno di aiuto.  “Un aiuto che io da sola non le potevo dare. Cercavo di starle vicina, andavo a trovarla molto spesso, facevamo delle cose insieme e lei ne sembrava molto contenta. Però le cose non cambiavano. E’ stato allora che ho veramente preso coscienza del suo problema” La madre intuisce che Maria ha bisogno di parlare con un esperto, e pensa di coinvolgere le amiche della figlia perché la convincano ad andare da uno psicoterapeuta. Ma qualcosa di inaspettato cambia la situazione. “E’ successo che mia figlia, assieme a due amiche ha subito un grave incidente stradale. Però quella tragedia si è trasformata in un miracolo: mia figlia in ospedale ha preso finalmente coscienza della sua malattia”. Rosaria e il marito devono riportare Maria a casa e sottoporla a delle terapie forzate. Le sue condizioni sono molto gravi.  “Mia figlia aveva più di 20 anni ma a vederla era uno scricciolino. Non le avresti dato più di otto anni. Ha lottato per recuperare un minimo di salute perché era veramente a terra” Così Maria inizia un percorso terapeutico che lentamente la aiuta a riprendersi.

E adesso che la figlia sta meglio, Rosaria che immagine associa all’ anoressia mentale? “Uno scheletro. Un morto vivente”

L’anoressia provoca molta rabbia in chi sta intorno: il rifiuto di mangiare può apparire un gesto di onnipotenza, di superiorità e sfida nei confronti di chi “è debole” perché vuole mangiare, mentre chi è anoressico si vede forte proprio perché controlla l’istinto della fame. Anche Rosaria ricorda di aver provato   una grande rabbia quando vedeva  la figlia che non mangiava. “Mi arrabbiavo perché non capivo. Avrei voluto che Maria mi dicesse perché non mangiava. Invece pensavo che fosse un comportamento  contro di me e contro suo padre, perché quando nessuna la vedeva lei qualcosa smangiucchiava ma appena si accorgeva che io la vedevo non mangiava più” E allora la rabbia di Rosaria nel vedere la figlia mangiare di nascosto si mescolava a un senso di sollievo: l’importante era che sua figlia si nutrisse. Pazienza se lo faceva  lontano dai suoi occhi. Rabbia, preoccupazione, sollievo, impotenza, erano i sentimenti che Rosaria ricorda si sono alternati per tanto tempo.

 “Mi sembrava  che mia figlia facesse tutto questo contro di me. E poi mi sentivo in colpa, perché quando i  miei figli erano piccoli ero stata costretta ad allontanarmi da casa per seguire una terapia psicologica. Il mattino lavoravo e il pomeriggio dovevo partire e i bambini dovevo lasciarli alla nonna. Mia figlia l’ha preso come un abbandono perché era piccola e non poteva capire. Quindi sentivo che era proprio colpa mia se mia figlia stava male, e d’altra parte non potevo fare altrimenti”

Il senso di colpa fa soffrire ancora oggi Rosaria, che teme di avere contribuito al disagio di sua figlia, anche ora che vede Maria migliorare e tornare a condurre una vita normale. “Mia figlia oggi è più equilibrata e matura, pronta anche a parlare di quel brutto periodo. Però penso che l’anoressia sia una malattia che non ti scrolli mai del tutto di dosso; bisogna lottare sempre, perché al minimo contraccolpo si rischia di ricadere nella stessa situazione.” Rosaria è certa che non tornerà a stare male come un tempo,  ma pensa anche che mantenere la salute sia una battaglia quotidiana:“le esperienze passate lasciano cicatrici che possono guarire ma che comunque hanno lasciato un segno. Quel segno è lì a ricordarti di stare sempre all’erta.”

Dopo questa dura esperienza, che per fortuna sembra finita bene, Rosaria sente di poter dare qualche consiglio ai genitori che si trovano in situazioni analoghe.

 “Bisogna essere molto presenti e vicini ai figli; una presenza che deve essere però “silenziosa”, non invadente; non dobbiamo insistere a chiedere spiegazioni se i figli non vogliono parlare. Bisogna far capire a questi ragazzi che possono contare anche su quelle persone che in quel momento magari loro odiano.

E poi, soprattutto, chiedere aiuto subito, coinvolgere altre persone, cercare persone esperte.  Non vergognarsi di chiedere aiuto. Sono cose che capitano purtroppo. Da soli non se ne esce.”

Continueremo a parlare, in prossimi articoli, dei disturbi alimentari.



 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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