• Home
  • documenti
  • Articoli
  • Dal Brasile a Bologna, il metodo di ascolto e intervento della ruota comunitaria

Dal Brasile a Bologna, il metodo di ascolto e intervento della ruota comunitaria

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

a cura di Anna Giogoli, assistente sociale e socia dell'associazione Cercare Oltre Aps

La Terapia comunitaria integrativa, conosciuta anche come ruota comunitaria, è stata sviluppata dall'etnopsichiatra brasiliano Adalberto Barreto. A Bologna dopo un percorso di formazione sulle ruote comunitarie che ha visto anche il coinvolgimento diretto di Barreto, nel 2023 sono state avviate due sperimentazioni, una nella Casa circondariale della città e una alla Casa della salute del Quartiere Porto-Saragozza che ha visto la partecipazione di una ventina di donne di origine straniera.

Ruota comunitaria

La ruota comunitaria è un metodo di ascolto e intervento sviluppato negli anni Ottanta del Novecento che si basa sulla socializzazione delle difficoltà e delle risorse all’interno di una comunità e ha l’obiettivo di promuovere l’empowerment e la resilienza di persone e gruppi. La ruota comunitaria si è sviluppata in Brasile e in seguito ha avuto un impatto significativo in tutto il mondo nel migliorare la salute mentale e il benessere delle persone per affrontare le sfide quotidiane della vita e costruire soluzioni collettive.

A Bologna a partire dal 2015 il Dipartimento di salute mentale dell'Ausl ha promosso percorsi formativi sulla Terapia comunitaria integrativa (Tci) in collaborazione con Ausl di Imola, enti locali e associazioni di volontariato che hanno coinvolto psicologi, psichiatri, assistenti sociali, educatori e infermieri professionali. Oltre alle conoscenze teoriche per migliorare il metodo e le tecniche, questi percorsi hanno permesso agli operatori di sperimentare tecniche di riduzione dello stress e di approfondire le proprie caratteristiche personali per migliorare la propria capacità di aiuto nella pratica professionale.

La Tci è uno spazio di ascolto, di parola e di legami con regole precise tra cui l'assenza di consigli, giudizi e analisi, il rispetto del silenzio in ascolto, la condivisione di esperienze vissute in prima persona per trovare un insieme di soluzioni a partire dal confronto in un clima di tolleranza, libertà e protetto da ogni desiderio di condizionamento. I presupposti su cui si basa la Terapia comunitaria integrativa sono due: il primo, che spesso si ignora, è che ogni persona possiede delle risorse e dei saperi utili agli altri qualunque siano le sue condizioni sociali, economiche e culturali; il secondo è che le competenze individuali vengono dalle prove che la persona ha attraversato nella sua vita. Su queste basi, gli scambi sono orizzontali perché non si valorizza lo status economico o quello intellettuale ma la varietà delle esperienze di vita di ognuno.

L'idea di sperimentare la Terapia comunitaria integrativa insieme a un gruppo di donne con background migratorio nasce da un'idea condivisa tra gli operatori dell’Ausl di Bologna con l'associazione Cercare Oltre di Bologna. Il progetto è partito nel 2023 grazie alla collaborazione tra diverse organizzazioni e servizi dell'Ausl di Bologna, il Consultorio per le donne straniere di Bologna, il Servizio vulnerabili e diverse associazioni di volontariato. Altri fondamentali protagonisti sono stati gli operatori delle strutture di accoglienza delle donne e i mediatori culturali. Sono state una ventina le donne che hanno partecipato, madri o in attesa di figli, provenienti da Camerun, Costa d'Avorio, Marocco, Ucraina, Senegal, Perù, Afghanistan, Siria e Iran.

Le partecipanti sono arrivate su segnalazione al Servizio vulnerabili da parte del Consultorio per donne straniere. Gli operatori del servizio – che tengono anche i contatti con le comunità di provenienza delle donne - hanno fatto con ciascuna donna un colloquio preliminare in cui hanno proposto la partecipazione alle ruote comunitarie. I conduttori della ruota sono state una psicologa psicoterapeuta e un’infermiera, entrambe dell’Ausl di Bologna, e un’assistente sociale dell’associazione Cercare Oltre, tutte con una formazione transculturale.

L’intento è stato quello di costituire una ruota comunitaria con le donne di recente immigrazione, madri di più figli, giunte in Italia spesso senza familiari e con gravi traumi subiti nei Paesi di origine o nel percorso migratorio; l’idea è che, attraverso la ruota comunitaria, queste donne potessero trovare forza, solidarietà, sostegno ed energia nuova per proseguire la loro vita in un nuovo Paese. Questo tipo di migrazioni provocano molte perdite culturali: si perde il legame con la terra, con la propria comunità, la propria famiglia e i valori individuali della propria cultura. Le migrazioni privano il gruppo degli elementi fondamentali che nutrono la sua identità culturale e garantiscono la sua coesione.

Il neoliberalismo distrugge le risorse socioculturali e rende le persone più dipendenti e meno autonome; questo non fa che aggravare la situazione. Un contesto di questo tipo dove regnano diffidenza, insicurezza il disconoscimento dei saperi e dei saper-fare di queste popolazioni marginalizzate, amplificano la perdita di fiducia in se stessi conducendo progressivamente all’isolamento, a un atteggiamento fallimentare, all’autosvalutazione, alla dipendenza che rende ancora più fragile la salute mentale di queste popolazioni. Queste sofferenze, molto spesso tendono a essere psichiatrizzate, e indicate come depressione o paranoia aggravando la salute mentale. Il grande paradosso è che più si medicalizza la persona più questa sta male.

I temi trattati nella ruota comunitaria al Quartiere Porto-Saragozza sono stati delicati, intensi e allo stesso tempo condivisi dall’universo femminile. Dalle preoccupazioni per i figli vicini, lontani, dispersi al dolore per lo sradicamento, fino alle relazioni affettive familiari e coniugali da cui spesso queste donne sono scappate, ai traumi con cui convivono, alla grande solitudine e responsabilità. La ruota ha permesso di avere uno spazio comunitario, molto desiderato. Alcune di loro si presentavano con bambini piccolissimi, nella ruota i bimbi passavano di braccia in braccia, avvolti dal calore di ogni persona presente, tra canzoni, ninne nanne, canti di preghiera e di speranza per la fine delle guerre che invadono i Paesi di provenienza e coinvolgono tutti noi. Non ci siamo risparmiate pianti, speranza. Abbiamo condiviso l’energia femminile che è forza che è capacità di protezione, che è vita. Ma anche la voglia di abbracciarci e di riabbracciarci.

Costruire negli spazi pubblici legami di affetto, fiducia, supporto sociale. Far uscire le persone dalla posizione di soggetto passivo per diventare soggetto attivo. Aprire una porta di speranza per coloro che non credono più in se stessi, negli altri e nel futuro. Sono le sfide della Terapia comunitaria integrativa che aiuta anche i professionisti a uscire dalla propria comfort zone per interrogarsi sulle pratiche adottate, rivedere i propri modelli, i valori e le credenze, e arricchirsi dei contributi di persone considerate solo come aventi bisogno di ricevere e mai capaci di offrire e donare.

All'intero della ruota comunitaria la “situazione-problema” presentata da uno dei partecipanti e scelta dal gruppo è un punto di partenza per stimolare e favorire la crescita dell'individuo e delle persone nell'ambiente, per raggiungere il maggior grado di autonomia, coscienza e corresponsabilità. La domanda chiave che sgancia la riflessione è: “Chi di voi ha vissuto qualcosa di simile e cosa avete fatto per superare quella situazione?” Ed è a questo punto che emergono dal gruppo delle strategie, dei modi di fare, delle esperienze, che permettono a ciascuno di riconsiderare il proprio vissuto partendo da tutti gli esempi ricevuti, dalle opzioni differenti e dalle alternative esposte. Ognuno condivide il sapere acquisito che gli ha permesso di superare gli ostacoli: in questo modo, ciascun partecipante non si focalizza più sulle ferite e sui problemi, ma sulle perle.
È il processo resiliente che viene messo in evidenza attraverso il supporto affettivo e un nuovo senso dato alla sofferenza attraverso la narrazione collettiva.

Il confronto sulle difficoltà produce un sapere che consente alle persone che si sentono ai margini di sopravvivere nel tempo e di disporre di un meccanismo autonomo per affrontare e modificare un ambiente ostile.
Le crisi, le sofferenze e le vittorie, nel momento in cui sono esposte e discusse, nel e dal gruppo, creano una coscienza sociale. Questo permette sia la scoperta delle implicazioni sociali e personali dell’origine della miseria e della sofferenza umana quanto il loro superamento. Una parola, un gesto possono fare la differenza tra lo scacco e il successo.
Il mettere in evidenza le qualità individuali, le competenze del singolo all’interno del gruppo è un modo per riconoscere l’importanza del processo resiliente. Questo diventa uno strumento di trasformazione per gli individui e per l’intero gruppo.
La socializzazione di questo sapere dà luogo a una dinamica tra ciò che viene detto dagli altri e la risonanza interiore individuale e permette a ciascuno di scoprire il proprio percorso producendo un sapere individuale.

Tutto questo saper fare che abbiamo progressivamente messo in pratica in questa sperimentazione di ruota comunitaria rappresenta un cambio di paradigma, un cambio di occhiali attraverso cui guardare e che invita ad andare oltre l’individuo per toccare ciò che è pubblico e collettivo, guardare oltre le carenze, le mancanze per appoggiarsi sulle competenze acquisite attraverso le esperienze di vita e far emergere il potenziale di coloro che soffrono, uscire da un modello che genera dipendenza per creare un modello che nutre l’autonomia e la co-responsabilità, uscire dalla verticalità delle relazioni per infondere l’orizzontalità, smontare l’atteggiamento di diffidenza verso gli altri e credere maggiormente nelle capacità dell’altro, rompere con l’isolamento del sapere scientifico e del sapere tradizionale, passare dal concetto che la soluzione viene dall’esterno" a quello secondo cui la soluzione si trova all’interno della persona, della famiglia, della comunità, promuovere una coscienza critica e di cittadinanza.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

Scorciatoie

Sogni&Bisogni

Associazione Cercare Oltre

presso Istituzione Giancarlo Minguzzi
Via Sant'Isaia, 90
40123 Bologna
Codice Fiscale: 91345260375
email: redazione@sogniebisogni.it

Privacy&Cookies

Privacy Policy Cookie Policy