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Due giornate al Paddock, quando la recovery si fa al maneggio

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Chiara Ghelfi, redattrice di Sogni&Bisogni

Si è concluso giovedì 26 ottobre il Corso “La scuderia e il suo ecosistema, dalla biodiversità al sentirsi comunità” organizzato dalla Cooperativa Asscoop, l’associazione il Paddock e il Centro di salute mentale Navile all’interno del progetto di Recovery College “La salute mentale come bene comune… Perché ci vuole una città” in continuità con i Caffè Randomizzati avviati in occasione della Giornata della salute mentale 2022.

maneggio 

L’idea di base del Recovery College è che ciascuno di noi possa essere studente del proprio benessere attraverso percorsi formativi di gruppo che portino a maturare consapevolezza e azioni concrete. Si tratta di una strada innovativa per la salute del singolo e della comunità, fondata sulla valorizzazione delle opportunità sociali, culturali, relazionali, associative e sanitarie, realizzate in sinergia con il lavoro di comunità svolto dai servizi sociali territoriali e messe a sistema grazie alla co-progettazione di istituzioni e Terzo settore della Città Metropolitana di Bologna.

Le parole chiave di questo percorso sono state: partecipazione, inclusione, valorizzazione delle risorse individuali e collettive, accoglienza e sperimentazione.
L’attività si è svolta il 24 e il 26 ottobre al Paddock, Associazione di riabilitazione equestre, in via Raffaello Sanzio, a Bologna, dove ad accoglierci c'era Maria Grassi, tecnico specializzato in interventi assistiti con animali, insieme ai suoi collaboratori: Heidi, una capretta abbandonata davanti al cancello del maneggio circa due anni fa, gli asinelli Ettore e Azzurra, il cane labrador Tiffany e circa 15 cavalli.
L'associazione è nata nel 1988 su iniziativa di un gruppo di volontari appassionati di natura e di equitazione per organizzare attività di svago per persone con disabilità attraverso il legame con i cavalli e nel 1990 si è affiliata all'Associazione nazionale italiana riabilitazione equestre.
Negli anni Il Paddock ha collaborato con il Dipartimento di salute mentale dell'Ausl di Bologna, le Facoltà di Scienze motorie, Scienze della formazione e Psicologia dell'Università di Bologna, con la Rems Casa degli Svizzeri di Bologna e con Asp Bologna con i servizi Bassa soglia e Protezione internazionale.

Il Centro di rieducazione e riabilitazione equestre ed equitazione sportiva nel Centro sportivo Barca, dove si è svolto il corso di Recovery College, è attivo dal 2007 ed è stato realizzato grazie ai contributi della Regione Emilia-Romagna, della Fondazione Cassa di risparmio di Bologna, della Fondazione Banca del Monte di Bologna e Ravenna e della Fondazione Divo Bartolini.
Il Paddock è un posto dove le persone possono fare delle cose per far stare bene gli animali. Si occupa di Interventi assistiti con animali, con valenza terapeutica, riabilitativa, educativa e ludico-ricreativa – ha spiegato Maria Grassi - L’Associazione di volontariato Il Paddock opera per migliorare la qualità della vita di bambini, giovani e adulti con disabilità o in condizione di disagio sociale, fornendo loro sostegno socio-educativo attraverso la Riabilitazione equestre e l’Equitazione ricreativa e sportiva”.

Durante la prima giornata del corso Maria, in quanto referente di intervento, dopo un giro di conoscenza del maneggio, ha spiegato a me, Jack, Sergio, Francesca e Raffaele (ESP, utente esperto nel supporto tra pari) i primi rudimentali aspetti etologici del cavallo. E ci ha raccontato perché si è scelto di organizzare un corso di recovery in maneggio: “La relazione con l’alterità animale, inteso come altro da sé, ha il potere di puntare un faro su alcune motivazioni specifiche dell’uomo. Ad esempio, offre la possibilità di introdurre un ventaglio più ampio di possibilità comunicative, andando oltre la parola o il linguaggio delle emoticon. Tale comunicazione acquisisce maggior forza poiché la relazione uomo-animale innesca fattori emotivi e agisce sulle innate motivazioni di cura e accudimento dell’altro. Agisce sulla motivazione ludica, consentendo all’uomo di esplorare altre modalità di gioco interattivo oltre che di rilassamento; inoltre, la relazione con l’alterità animale agisce sulla motivazione formativa, su un piano educativo, didattico e sportivo”.

Per la maggior parte di noi quella è stata la prima esperienza di contatto con un animale così maestoso ed eravamo abbastanza impauriti e titubanti, anche se molto emozionati.
Maria ci ha subito spiegato il linguaggio del cavallo e come capire se un animale è tranquillo oppure infastidito in modo da saper tradurre la comunicazione.
Già il primo impatto con l’animale mette in luce nuove prospettive, accentuate dell’emozione: le persone che entrano in rapporto con l’animale difficilmente riescono a mascherare l’emozione che scaturisce da questo primo incontro – ha proseguito - L’animale assume il ruolo di mediatore di relazione, riuscendo a canalizzare tutta l’attenzione dell’ospite, e grazie al ruolo del referente di Intervento, la persona avrà modo di sperimentare nuovi approcci comunicativi, sviluppando lo spirito di osservazione, e si avvierà verso una sana relazione interspecifica”.

In campo abbiamo avuto il primo approccio con Evelyn, una cavalla di circa 20 anni dal carattere docile e abituata a lavorare con i bambini piccoli. Dopo la spiegazione delle principali parti anatomiche del cavallo, dei finimenti e degli strumenti di pulizia e cura, ci siamo sperimentati attivamente nelle fasi di accudimento. Poi siamo passati all’osservazione del cavallo libero, abbiamo sperimentato un approccio diretto, provando a ingaggiare Evelyn in attività ludiche strutturate e l’abbiamo portata a passeggio all’interno del maneggio.
Tutti si sono messi alla prova, anche i più timorosi, sempre con Maria al nostro fianco che ci sosteneva e tranquillizzava.
Durante l’attività si approfondisce il significato di una “relazione” aperta a più referenti intraspecifica cioè tra soggetti della stessa specie e interspecifica cioè tra soggetti appartenenti a specie differenti – ha aggiunto Maria - Viene amplificata la capacità di ascolto attivo, si acquisiscono le competenze atte a comprendere le intenzioni dell’altro, e a leggere la comunicazione non verbale. La relazione richiede uno scambio interattivo e comunicativo, e può diventare gioco”.
Al termine dell’attività è arrivato il momento del gioco di ricerca: abbiamo nascosto delle carote, inizialmente utilizzando un tappeto olfattivo e successivamente ponendole sotto a dei coni, ed Evelyn è stata bravissima a trovarle tutte… e ha fatto merenda. Al gioco ha partecipato anche Tiffany che oltre a essere golosa è anche gelosa dell’amica Evelyn e ci teneva a farci vedere di essere brava nel gioco di ricerca.
La prima giornata si è conclusa con tante soddisfazioni, nuove conoscenze e anche una maggiore fiducia nella possibilità di superare le proprie paure.

Il 26 ottobre si è svolta la seconda giornata del corso. Siamo arrivati al maneggio dove siamo stati accolti con entusiasmo da Maria e da Tiffany.
Jack e Raffaele hanno subito iniziato il lavoro di pulizia di Evelyn con un'attenzione e una cura tale che la cavalla si è rilassata, arrivando perfino a chiudere gli occhi.
Poi ci siamo trasferiti in campo dove, insieme, abbiamo costruito un percorso e, a turno, abbiamo guidato il cavallo, sempre da terra. Abbiamo anche provato a lavorare il cavallo alla longia, invitandolo a trottare. Un'esperienza stupenda, anche se non semplice per chi è non esperto.
Alla fine del lavoro sul campo, Maria ci ha insegnato a massaggiare il cavallo con una spazzola specifica.
La giornata si è conclusa di nuovo con il gioco: Jack e Sergio hanno proposto di ripetere quello dei coni ed Evelyn è stata contenta. “È stato tutto molto bello – ha detto Jack – Mi piacerebbe tanto tornare”. Anche Raffaele è stato soddisfatto del percorso, “mi piacerebbe vedere qualche corsa ogni tanto e vedere lavorare i cavalli con le persone in sella”. Per Sergio, “è stata davvero una bella esperienza”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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