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10 ottobre, Recovery college e supporto tra pari per innovare i servizi

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Nel 2022 la Giornata mondiale della Salute mentale si è celebrato in piazza Lucio Dalla, nel Quartiere Navile con una presentazione complessiva delle esperienze nella città metropolitana di Bologna e una grande partecipazione della cittadinanza.

 

10 ottobre

Il recovery college, che nella nostra città sta muovendo i primi passi con un ricco calendario di appuntamenti, è stato raccontato innanzitutto da Julie Repper, Direttrice del Programma IMplementing Recovery through Organisational Change (ImROC). La recovery, ha ricordato Repper, “non avviene nei servizi ma parte dalle famiglie, attraversa le comunità, prende forma nelle amicizie. La recovery non è un concetto medico ma sociale, dove la relazione mostra tutto il suo potere vivificante e terapeutico”. Nelle esperienze raccontate da Repper risulta fondamentale educare gli utenti alla conoscenza della loro malattia, rientrare fra la cittadinanza attiva attraverso l’insegnamento su come affrontare un colloquio di lavoro e riappropriarsi dei propri diritti civili e individuali, primo fra tutti quello alla casa.

ImROC ha sviluppato un approccio per aiutare gli utenti basato su ciò che definisce “sfide organizzative”, che hanno come fondamento la riunione in maniera regolare del gruppo degli utenti per dialogare e rafforzare la propria fiducia e autostima.
Tutto ciò che viene fatto da ImROC è frutto della coproduzione fra istituzioni, terzo settore e cittadinanza, in un’ottica di piena condivisione delle soluzioni. A ogni incontro, che si tengono con regolarità, metà della sala deve essere composta da utenti e familiari perché solo attraverso l’esperienza diretta della malattia, del disturbo e dei disagi le istituzioni possono avere piena contezza dei problemi reali e quotidiani.

Il recovery college diventa così un tavolo di discussione interdisciplinare e interistituzionale, dove l’apprendimento è la base dell’iniziativa attraverso leve come la consapevolezza, ad esempio della funzione, degli effetti e dell’utilizzo dei farmaci, con l’obiettivo di cambiare l’interazione quotidiana attraverso processi condivisi, con la pratica della formazione.
La serialità degli appuntamenti permette col tempo di personalizzare i servizi per gli utenti, seguendo aspirazioni, curiosità e necessità. La coproduzione fra tutti i portatori di interesse che partecipano al sistema può aiutare a sollevare gli operatori nella gestione delle crisi, proprio perché un ambiente collaborativo, orizzontale, favorisce una naturale espressione di sé senza giungere ad acuzie spesso determinate da una routine basata su solitudine, incomunicabilità, medicalizzazione.
C’è poi l’aspetto del peer support, il supporto tra pari da noi noto attraverso gli ESP, utenti esperti per esperienza che possono affiancare gli operatori nell’assistenza.

Nelle esperienze estere si è valutata una riduzione dei costi e una riduzione delle degenze. Nel Regno Unito le imprese sociali assumono i peer supporter che vengono poi pagati dalle Aziende Sanitarie Locali. L’uso dei peer supporter ha contribuito anche a ridurre i casi di burnout e di giorni di malattia dello staff degli operatori.
Un ritorno positivo si ha anche nella creazione di reti di relazioni con la comunità locale, dove i legami fra i vari portatori di interessi si fanno forti, tanto da potere affermare che alla logica del servizio come luogo di cura si sostituisce quello di comunità educante.

Oltre a identificare le ambizioni degli utenti non si può mai prescindere anche da un coinvolgimento dei familiari nella fase di coprogettazione, perché il principio ispirativo del recovery college è quello dal basso, dalla base delle esigenze, verso l’alto, le istituzioni in grado di realizzare i desiderata. Bisogna insomma incoraggiare la creatività e l’innovazione, consapevoli che ognuno è risorsa.



 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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