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Dalla psicosi si può guarire. Ma servono interventi tempestivi e una presa in carico multidisciplinare che coinvolga le famiglie

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni e Laura Pasotti, redattori di Sogni&Bisogni

Tempestività dell'intervento. Presa in carico multidisciplinare. Coinvolgimento delle famiglie. Corretta somministrazione dei farmaci. Promozione di una sana alimentazione e di attività motoria. Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel documento pubblicato dalla Direzione generale Cura della persona, salute e welfare della Regione Emilia-Romagna e in fase di aggiornamento, per la promozione della salute e del benessere delle persone all'esordio psicotico che si sono rivolte ai servizi di salute mentale in Emilia-Romagna.

fotoIntervistaTarricone
Noi della redazione di Sogni&Bisogni ne abbiamo parlato con Ilaria Tarricone, psichiatra e professoressa associata nel settore Med/25 Psichiatra presso la Scuola di Medicina e Chirurgia dell'Università di Bologna.

Che cosa si intende per psicosi o esordio psicotico?
Il termine psicosi comprende una serie di sindromi caratterizzate dalla comparsa di sintomi di alterazione del normale funzionamento psichico, quali i “sintomi positivi”, come le dispercezioni di tipo uditivo (di solito voci) e le idee deliranti, caratterizzate da convinzioni che non trovano riscontro nella realtà condivisa da altre persone e che possono strutturarsi nel tempo in deliri.
Accanto a questi sintomi più eclatanti e che richiamano l'attenzione, ce ne sono altri più insidiosi e difficili da osservare: sono i sintomi cosiddetti “negativi” come, ad esempio, la mancanza di energia, di volontà, di provare piacere, di capacità determinarsi nelle relazioni e nel mondo fino al ritiro sociale della persona che ne è affetta.
Esistono poi sintomi legati all'intelligenza sociale e all'incapacità di comprendere le intenzioni degli altri, a dare risposte coerenti, a riconoscere un'espressione. Sintomi che provocano grande frustrazione e difficoltà relazionali.
Quello delle psicosi è un mondo eterogeneo. La diagnosi richiede tempo e una valutazione non solo sintomatologica ma anche della storia della persona e del suo funzionamento personale e sociale.

Ci sono dati epidemiologici sulle nuove diagnosi di esordio psicotico?
Le cause delle psicosi sono tantissime. Come detto, nel variegato gruppo delle psicosi rientrano tante sindromi e disturbi diversi, alcune possono essere di breve durata e correlarsi chiaramente a traumi ed eventi negativi per la persona che ne è colpita; altre, magari a esordio più lento nel tempo, possono avere lunga durata e tendere e divenire “croniche”. Ma in tutti i casi c'è una relazione importante tra una suscettibilità genetica e fattori stressanti ambientali, dalla cui interazione può derivare il passaggio da una lieve vulnerabilità (come una tendenza alla sospettosità) a una manifestazione clinica conclamata (come lo sviluppo di un vero e proprio delirio persecutorio e il restante corteo di sintomi psicopatologici prima descritti). Oltre a diverse varianti di geni che nel loro insieme contribuiscono, seppure in piccola percentuale, al rischio di sviluppare psicosi (il così detto Poligenic Risk Score delle psicosi), ci sono le modifiche SUI geni, le così dette variazioni epi-genetiche, come le metilazioni del DNA che impedisce la corretta espressione dei geni; tali modifiche derivano dall’incontro dell’individuo con fattori nocivi esterni, quali il fumo di cannabis. La speranza che è oggi oggetto di alcune ricerche scientifiche è che le modifiche epigenetiche non siano irreversibili e che i trattamenti, farmacologici e psicosociali, possano invertire la rotta che ha portato allo sviluppo di psicosi.
Anche l'incidenza (il numero di casi nuovi che si osservano in un anno in un determinato contesto) di psicosi varia in base al variare di fattori ambientali, non solo individuali ma anche di area. Ad esempio, studi epidemiologici come quelli condotti da Jane Boydell e James Kirkbride, mostrano che chi fa parte di una minoranza etnica e vive in un contesto a forte urbanizzazione ha un rischio di psicosi più elevato rispetto al resto della popolazione che vive in quel contesto.
Il Progetto europeo EU-GEI (European Gene X Environment interaction), il cui obiettivo è identificare le cause genetiche, cliniche e ambientali che portano al manifestarsi di esordi psicotici, e che ha coinvolto diverse città europee tra cui Bologna, ha fatto emergere dati molto interessanti sulla eterogenea incidenza delle psicosi nei vari centri coinvolti dallo studio. Nelle grandi città come Parigi, Amsterdam e Londra, ad esempio, si sono riscontrati i numeri più alti, con 60/70 casi ogni 100 mila abitanti, mentre Palermo e Bologna, città con un'urbanizzazione inferiore, hanno registrato un'incidenza più bassa, 20 casi ogni 100 mila abitanti.
Ma anche nei contesti a minor urbanizzazione, come Bologna e Palermo, l’incidenza di psicosi aumenta tra le persone con maggiore carico di fattori di rischio individuali, quali l’esposizione al trauma durante l’infanzia, la storia migratoria, l’uso di sostanze. Ad esempio, a Bologna le persone con una storia migratoria o chi è nato e vissuto sempre qui hanno un’incidenza molto diversa di psicosi: l'incidenza tra i migranti è 30 ogni 100 mila abitanti mentre sui nativi scende a 15 casi ogni 100 mila abitanti. La spiegazione più plausibile di questa diversa incidenza sembra essere il maggior carico di fattori ambientali e sociali negativi nei migranti, come un maggior rischio di avere subito traumi e discriminazione e le più precarie condizioni di vita.
Uno studio più recente, pubblicato nel 2023, realizzato a Bologna e in altre città dell'Emilia-Romagna ha evidenziato un rialzo dell'incidenza di psicosi trattata dai servizi tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, con una stima di circa 36 casi ogni 100 mila abitanti.

Perché si registra un numero maggiore di casi tra le persone più giovani?
La psicosi è infatti una sindrome che, tipicamente, si manifesta nell’età adolescenziale e nei giovani adulti. Gli esordi psicotici sono più frequenti nella tarda adolescenza/prima età adulta (15-30 anni) perché è in quella fase della vita che diventano più complesse le interazioni sociali e le responsabilità. È in quella fase, quindi, che l’equilibrio tra fattori protettivi e fattori stressanti può sbilanciarsi negativamente e le fragilità possono trasformarsi in sindromi conclamate.
È quindi necessario lavorare per tempo non solo per ridurre i fattori di rischio (quali l’uso della cannabis e di altre sostanze e il bullismo), ma per potenziare i fattori protettivi, iniziando dalla prima adolescenza a sostenere i ragazzi e le ragazze che sembrano mostrare caratteristiche di vulnerabilità alle psicosi, quali un’eccessiva introversione o difficoltà scolastiche. Senza eccessivi allarmismi è, in altre parole, fondamentale sapere che interventi psicosociali aspecifici, come il sostegno scolastico, il rinforzo della rete sociale e la pratica di attività motorie e ludico-ricreative sane può sostenere lo sviluppo armonioso di giovani persone, oggi sempre più gravate da fattori di rischio familiari (come la ristretta disponibilità delle figure di riferimento in ambito familiare) e sociali (come la frammentazione delle reti sociali, che si è aggravata durante la pandemia).

Il modello a cui si fa riferimento nel documento regionale prevede una presa in carico multidisciplinare. È attuabile e sostenibile vista l'attuale carenza di organico?
Assolutamente sì, perché è un modello che fa parte della nostra tradizione e cultura. Certo, in questo momento ci sono poche risorse per la sanità, e per la psichiatria in particolare, ma la efficacia di questo modello è stata ampiamente dimostrata. Cosa conta? La tempestività dell'intervento per evitare il sorgere e il cronicizzarsi di eventuali disfunzioni e la multidisciplinarietà. La presa in carico non dev'essere solo farmacologica ma è necessario sostenere la persona in tutte le sue abilità attraverso il lavoro di educatori, assistenti sociali, psichiatri, psicoterapeuti e, nel caso di persone con un percorso migratorio, anche mediatori culturali che possono aiutare non solo con la lingua ma anche fornendo strumenti utili a comprendere le differenze culturali.
La terapia cognitivo comportamentale si è mostrata particolarmente efficace nell’aiutare le persone a ragionare sugli stimoli esterni e le interpretazioni soggettive che possono aver contribuito alla produzione di idee deliranti e/o dispercezioni e ad aumentare la capacità delle persone di sviluppare schemi di ragionamento per rispondere in modo più adattativo e utile allo stress e alle difficoltà della vita.

Una presa in carico precoce quindi può essere risolutivo per la cura? Si può guarire da una psicosi?
Si può certamente parlare di guarigione. Ci sono moltissimi giovani che, dopo un episodio psicotico o un momento di fragilità, rientrano dalla sintomatologia e hanno un funzionamento normale.
La guarigione sociale (la così detta recovery) è possibile in moltissimi casi, quella clinica non sempre ma i sintomi possono essere gestiti senza eccessivo disagio per la persona.

E quanto è frequente la recidiva?
Innanzitutto, devo dire che nei servizi di salute mentale arrivano generalmente i casi più gravi, quindi la valutazione dell’andamento delle psicosi è influenzata da questo “bias” . Le In sintesi, gli studi ad oggi condotti ci dicono che circa un terzo dei casi guarisce, un terzo si stabilizza e un terzo può avere ricadute.
Per evitare ricadute dopo un primo episodio psicotico è raccomandato portare avanti la presa in carico specialistica e mantenere un trattamento almeno per due anni, come indicato nelle Linee guida regionali.
Una ricaduta significa tornare indietro, può portare a un ricovero e sicuramente è causa di un arresto rispetto alla vita normale.

Il modello che coinvolge le famiglie è recente?
Il coinvolgimento delle famiglie negli interventi di cura delle psicosi non è una novità. I primi studi sull’efficacia dell’intervento sulla comunicazione e l’espressione delle emozioni nelle famiglie risalgono agli anni ‘60-’70 in Inghilterra e successivamente sono stati implementati e validati in tanti Paesi, compresa l’Italia.
Gli interventi familiari comprendono oltre alla psicoeducazione (dall’inglese psychoeducation, che letteralmente significa formazione sul funzionamento psichico e sulle manifestazioni psicopatologiche e gli interventi di cura), interventi di sostegno psicologico e sociale.

Quanto è importante una corretta somministrazione dei farmaci? E quali sono gli eventuali pericoli?
Il trattamento psicofarmacologico con farmaci antipsicotici è sempre indicato nelle psicosi clinicamente conclamate. Per le persone con stato mentale a rischio di psicosi non ci sono indicazioni assolute per la somministrazione di farmaci antipsicotici e si deve valutare caso per caso.
I farmaci antipsicotici hanno effetti collaterali come qualsiasi altro trattamento farmacologico e come accade con altri tipi di farmaci c'è una fortissima variabilità individuale nella risposta terapeutica così come negli effetti collaterali.
Tra questi effetti ci possono essere cambiamenti metabolici (come la disregolazione della glicemia, l’incremento di peso, le dislipidemie), la alterazioni del ritmo cardiaco, il tremore e la rigidità e aumento della produzione di prolattina (che può causare amenorrea, ginecomastia, calo della libido). Questi effetti, come tutti gli effetti collaterali dei farmaci, possono spaventare, ma sono nella grande maggioranza dei casi transitori e prevenibili, grazie a un monitoraggio attento e partendo sempre con la minima dose efficace.
Chi ha iniziato un trattamento con psicofarmaci va monitorato anche relativamente al suo stato di salute generale, con semplici esami periodici del sangue e cardiovascolari.

Quando è possibile la deprescrizione?
La strategia della deprescrizione è assolutamente condivisibile. Nel caso in cui una persona sia da anni stabile, senza sintomi, con un buon funzionamento e si manifestano effetti collaterali come l'aumento di peso o un'eccessiva sonnolenza è consigliabile abbassare la dose del farmaco. Sempre con molta cautela e valutando caso per caso.
Ma se la persona ha trovato un equilibrio e non ci sono effetti collaterali, perché toglierlo?
Prima di modificare un trattamento farmacologico a una persona che sta bene, bisogna chiaramente condividere la decisione con il paziente e possibilmente i suoi carers, mantenendo, come sempre, un attento monitoraggio nel tempo, possibilmente stando attenti alla ricomparsa dei cosi detti segni di allarme per una ricaduta (come insonnia e irritabilità). Ci vogliono cautela e gradualità.

Lei è anche presidente dell'Associazione di promozione sociale Wind-Mind che promuove il benessere psico-fisico e la salute mentale. Qual è l'importanza di un'alimentazione sana e dell'attività motoria per chi ha avuto esordi psicotici?
Wind Mind Aps promuove attività motorie e ricreative per tutti, non solo per persone seguite dai servizi di salute mentale. L'associazione sta portando avanti un progetto insieme al Dipartimento di salute mentale di Bologna e in sinergia con la rete delle Palestre per la salute che ha l'obiettivo di motivare i giovani con stati mentali a rischio o psicosi conclamate a svolgere attività motoria. Molti studi hanno chiaramente dimostrato il ruolo protettivo di un’alimentazione sana, in particolare dieta mediterranea, e attività motoria per la salute mentale. Evidenze preliminari (oltre che il buon senso) incoraggiano molto a promuovere l’attività motoria e una sana alimentazione nelle persone affette da psicosi o a rischio di svilupparla.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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