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Gli adolescenti? Sempre più soli, arrabbiati e fragili. Intervista con Maria Luisa Iavarone

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Vivono un mondo vuoto, anestetizzati dalle tecnologie, spesso ostaggi di ansie e forme di disregolazione emotiva.
Così esordisce Maria Luisa Iavarone, ordinario di Pedagogia sperimentale presso l’Università di Napoli Parthenope, quando parla dei giovanissimi, di quella generazione dei “supermillenials” (nati dopo il 2010) carichi di forti disagi nascosti dietro un apparente disinteresse.

Iavarone

Alcuni dati sulla situazione: il Global Risk Report (2019) descrive gli adolescenti come sempre più soli, arrabbiati, dipendenti, anaffettivi (comportamenti ascrivibili ai cambiamenti dei metodi genitoriali). L'Organizzazione mondiale della sanità nel Focus sulla salute mentale degli adolescenti (2021) indica che nel mondo tra il 10 e il 20% soffrirebbe di un disturbo psichico clinicamente significativo e sottolinea che a influenzare la salute mentale degli adolescenti ci sarebbero aumentate condizioni di fragilità biologica associate a qualità della vita familiare, relazioni con i coetanei, violenza subita e/o agita, condizioni socioeconomiche: tutti fattori riconosciuti determinanti per la salute mentale dell’adolescente.

Un’analisi preoccupante...
I nostri preadolescenti o neoadolescenti sono cresciuti in uno spazio-tempo profondamente diverso da quello delle precedenti generazioni, si avvalgono di modalità di interazione con il mondo che hanno significativamente alterato le loro coordinate del pensiero. Molti autorevoli studi, infatti, oramai indicano chiaramente come, a fronte dell’overuse tecnologico, si stia modificando non solo la funzione di determinate aree del cervello ma anche la loro forma e organizzazione.

Le tecnologie sono, dunque, un ambito che la preoccupa molto, anche dal punto di vista educativo?
Certamente e ne ho fatto proprio una sfida formativa e accademica. Presso l’Università Parthenope presiedo un corso di Laurea magistrale proprio in Progettazione dei servizi educativi e formativi, Media education e Tecnologie per l'inclusione, uno spazio non solo didattico ma un vero e proprio osservatorio privilegiato di ricerca sui contesti di potenziale rischio educativo, dove ci preoccupiamo di formare educatori esperti proprio su questo: come educare minori che vivono una parte significativa della loro giornata in questi ambienti di cui gli adulti, genitori in primis, ma anche insegnanti ed educatori oggettivamente non sanno molto. (Iavarore è autrice di un volume “Educare nei mutamenti” [FrancoAngeli, 2022] che si concentra proprio su tali questioni, ndr).

Il rapporto dei giovani con le tecnologie è pertanto massivo, pervasivo, distorsivo, soprattutto se osservato in adolescenza.
I sintomi espressi da ragazze e ragazzi sono molteplici ma uno sul quale mi soffermerei volentieri riguarda quello che io definisco la “recessione del desiderio” che a mio avviso, in molte circostanze, può essere alla base del disagio adolescenziale e spesso concausa di rischio di esclusione e marginalità fino ad arrivare alla devianza conclamata. Il desiderio è la “categoria reggente” della crescita, attraverso il desiderio costruiamo noi stessi, ci proiettiamo nel mondo e nel futuro decidendo cosa vogliamo essere e diventare. Il black out di desiderio spesso pregiudica la crescita psicosociale creando vere e proprie forme di paralisi nello sviluppo.

Esiste dunque una confusione fra bisogno e desiderio.
Sì, in effetti spesso nella società attuale (e non solo i giovani devo dire) si tende a confondere un bisogno con un desiderio; si mescolano i piani, il desiderio si appiattisce sul bisogno, non riuscendo a capire ciò che realmente desideriamo. Siamo confusi dal fatto che possiamo ottenere tutto quello che riteniamo di desiderare con un “click” e le piattaforme e-commerce ce lo consentono, così che il “desiderio” si dilata verso un consumo smodato e spesso inutile.
Il desiderio autentico, invece, implica una capacità ideativa che i ragazzi di oggi vivono sempre meno, il desiderio come “progetto di volizione” sta pian piano scomparendo dalla loro mente. Si realizza una vera e propria distorsione della volontà desiderativa, in una società che ci alimenta l’illusione di poter ottenere tutto ciò che si desidera o che gli “altri” hanno.

A cosa si riferisce in particolare?
Ad esempio al fenomeno dell’influencing. Gli influencer sulle loro pagine social mostrano, esibiscono, ostentano spesso un consumo vistoso e questo apre un’altra questione a mio avviso cruciale: quella dell’educazione finanziaria dei ragazzi. Oggi transazioni e acquisti online rendono più facile l’ottenimento di beni e oggetti di consumo attraverso l’accorciamento della filiera dell’acquisto. In questa dinamica anche il rapporto con il valore dell’acquisto e col denaro viene confuso. In una società dove la gratificazione edonistica è alla base di tutto, si attiva un processo di produzione dopaminica. Questo è un po’ lo stesso meccanismo delle dipendenze. I bisogni, come i desideri autentici e come d’altra parte l’uso corretto del danaro, sono tutti aspetti che andrebbero regolati meglio all’interno dell’educazione.

Quindi un aspetto importante riguarda proprio anche l’uso del denaro?
Certamente, l’educazione finanziaria è importante: rimettere il denaro nella giusta posizione simbolica, restituisce ai ragazzi anche il valore e il significato dell’acquisto è educativamente fondamentale. Non dimentichiamo che nelle relazioni sentimentali malate come nella violenza di genere il denaro ha sempre un ruolo di potere centrale essendo utilizzato quale strumento di prevaricazione e di esercizio della dipendenza.

Tutto quello che lei ha detto ha delle implicazioni con la salute mentale?
È evidente che tutti gli aspetti che abbiamo rapidamente tratteggiato hanno delle ricadute sulla salute mentale dei più giovani. Segnali di malessere, di disagio che nascono nell’alveo delle condizioni descritte e che esordiscono nella prima adolescenza possono più tardi evolvere in forma di veri e propri disturbi psichiatrici.

Quindi, cosa ci consiglia?
Bisogna dare maggiore attenzione alla prevenzione educativa, osservare di più e non sottovalutare segnali. Non tollerare l’inattività, la passività, il ritiro sociale di ragazzini che preferiscono trascorrere più di due ore al giorno in attività connettive. Staniamoli dalle loro camerette, da quella comfort zone nella quale si ritirano e si rifuggiano. Una volta di più attraversiamo quella porta e chiediamo loro cosa stiano facendo, dentro cosa stanno spendendo o dissipando il loro tempo.

Il fenomeno dell’inattività giovanile costituisce anche un grosso problema sociale.
Non c’è alcun dubbio. Il fenomeno dei NEET (Not in education, employment or training) ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, non è sono solo una grande perdita di capitale umano ma anche sociale ed economico.
E in verità il problema non correla solo con la dispersione scolastica ma anche quando questi ragazzi la scuola la frequentano risultano underskilled ovvero hanno competenze sotto-soglia, non adeguate a nessun mercato del lavoro, come riportato dalle principali indagini nazionali e internazionali: OCSE-Pisa, Invalsi, ecc. Anche per questo diventano dei NEET.

Quindi quale è a suo avviso la speranza per il futuro?
Migliorare il sistema della formazione che deve essere integrato tra le istituzioni educative: famiglia, scuola, extrascuola, servizi socio-educativi e sanitari di territorio. Tutti dobbiamo essere più pronti a fare prevenzione educativa di territorio. Bisogna migliorare il quadro delle competenze. Se un ragazzino sfugge al controllo della famiglia e magari anche a quello della scuola, non deve sfuggire a quello di educatori di territorio che siano medialmente attrezzati capaci di costruire mediazioni e relazioni e che come antenne di responsabilità siano capaci di funzionare da cerniera tra scuola, extrascuola e territorio.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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