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Le cure non bastano, bisogna cambiare la cultura. L'esperienza di Psicoradio

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Laura Pasotti, redattrice di Sogni&Bisogni

Una trasmissione radiofonica. Un progetto riabilitativo. Un tirocinio formativo. Una redazione giornalistica. Un luogo di lavoro e di amicizie. Psicoradio è tutte queste cose insieme. Lo è fin dalla sua nascita, nel 2006, quando Cristina Lasagni, docente di cinema documentario e comunicazione radiofonica all'Università di Lugano, rese concreta l'idea di usare la radio per contrastare i tanti pregiudizi che pesano su chi ha una diagnosi psichiatrica, dare senso alle capacità dei redattori e far crescere la loro autostima, a partire dal lavoro.

Psicoradio

“Facevo già parte dell'associazione Arte e salute aps, che stava sperimentando il teatro come luogo di lavoro, riabilitazione e crescita di persone con disturbi psichici e aveva già organizzato tre compagnie teatrali dirette da registi professionisti. Il progetto ha funzionato tanto che una delle compagnie ha oggi sede all'Arena del Sole. Io avevo già una lunga esperienza di comunicazione e radio, anche una tesi in Psicologia, ed è stato quasi inevitabile cominciare a riflettere con alcuni fondatori di Arte e salute sulla possibilità di usare anche la radio. Anzi, forse è proprio lo strumento più adatto per persone che hanno una diagnosi psichiatrica, molte cose da dire, ma che non sarebbero a proprio agio nel mostrarsi su un palcoscenico”, racconta a Sogni&Bisogni Lasagni, che di Psicoradio è la direttrice.

Da allora sono passati 17 anni e Psicoradio – realizzata in collaborazione con il Dipartimento di salute mentale dell'Ausl di Bologna – ha visto passare dai suoi studi tantissime persone e ha realizzato tantissime trasmissioni, finora oltre 860. Oggi va in onda da Bolzano a Messina su un network di radio, lo Psiconetwork, di cui fanno parte tra le altre Radio Città Fujiko a Bologna e il circuito di Radio Popolare in Lombardia. “Quando siamo partiti non eravamo affatto sicuri che il progetto sarebbe durato così a lungo – ammette Lasagni – Poi invece negli anni abbiamo avuto anche riconoscimenti prestigiosi, come il Premio Marconi, servizi televisivi, un documentario, begli articoli. Contributi che sono stati importanti per l'identità e il senso di sé della redazione, per far capire che non stiamo giocando, per riconoscere il senso di quello che facciamo. E ci hanno anche aiutato nel chiedere alle persone di arrivare in orario, fare attenzione, prepararsi, insomma di essere professionali”.

Sì, perché Psicoradio è un luogo di lavoro (i redattori hanno un tirocinio formativo retribuito) in cui le persone con una diagnosi psichiatrica imparano a costruire da zero una trasmissione settimanale che, in modi molto diversi, con temi che vanno dall’attualità alla poesia ai farmaci, indaga il mondo complesso della salute mentale. “Ogni lunedì facciamo la riunione di redazione e discutiamo i temi di cui vorremmo parlare. Le proposte vengono vagliate insieme ai tutor e alla direttrice e si inizia a lavorare. Facciamo interviste, montiamo i pezzi, scegliamo la musica: è un lavoro di équipe che va a formare il programma settimanale. A Psicoradio sono arrivato nove anni fa su consiglio della mia psicoterapeuta; allora avevo un'idea diversa della radio, pensavo fosse più semplice, pensavo bastasse parlare al microfono e invece è un lavoro professionale. Ed è molto utile per parlare di salute mentale”, racconta Lorenzo Albini, uno dei redattori.

Ciò che contraddistingue Psicoradio è che i redattori sono persone con diagnosi psichiatriche, seguite dai Centri di salute mentale del territorio, che portano nella redazione la loro esperienza. “Nasce un'alchimia particolare quando a parlare di salute mentale è una persona in cura che parla con un esperto e quest'ultimo deve misurarsi con l'esperienza diretta di quella persona – dice Lasagni – Ricordo una puntata in cui lo psichiatra che avevamo invitato disse che le nuove generazioni di neurolettici non danno effetti collaterali pesanti; a quel punto uno dei nostri redattori è intervenuto per dire che a lui con quei nuovi farmaci tremavano le mani al punto da non riuscire quasi a scrivere al computer, un'altra redattrice, che faceva cabaret, disse che era ingrassata moltissimo. L’esperto allora si è reso conto di quanto vengono sottovalutati gli effetti che questi farmaci possono produrre nella vita delle persone. A volte, sembra che faccia capolino ancora la vecchia mentalità manicomiale per cui se hai una diagnosi psichiatrica il fatto che ti tremino le mani, che tu prenda 20 chili o che possa perdere il desiderio sessuale sono problemi poco rilevanti, e non hai diritto di cercare di fare qualcosa per cambiare”.

A volte l'approccio di Psicoradio è ironico, leggero, anche nel trattare temi complessi. Abbiamo avuto in redazione persone ironiche che riescono a discutere anche su temi spesso dolorosi, come la sessualità: ricordo la puntata Castrazione sociale, voluta da alcuni redattori, che inizia con battute e tono leggero, per poi far trapelare anche la tristezza. Abbiamo potuto farlo perché a volte ci sono persone che cercano anche di sorridere di sé”, dice Lasagni.

Il tirocinio formativo a Psicoradio non ha una durata predefinita, c'è chi è rimasto qualche mese e chi anni. E negli anni i cambiamenti sono stati soprattutto legati al succedersi delle redattrici e dei redattori, ciascuno con una sua storia.
Un cambiamento importante è avvenuto con il lockdown dovuto all'emergenza sanitaria da covid-19: la redazione ha dovuto pensare a un modo diverso di lavorare e di stare nei palinsesti delle radio dello Psiconetwork. “Per noi è stato un periodo pesantissimo, ma siamo andati avanti – racconta la direttrice – Popolare ad esempio faceva lunghe dirette in cui dava soprattutto informazioni sul covid; non c'era più spazio per la nostra trasmissione di mezz'ora preconfezionata. Ma non ci siamo arresi, e abbiamo cambiato formato, producendo le Finestre di Psicoradio, brevi programmi quotidiani di cinque minuti che hanno moltiplicato la nostra presenza nell'etere”.
Oltre a costringere la redazione a lavorare a distanza, usando piattaforme come Zoom e Meet, il lockdown ha portato anche un altro cambiamento: “Forse dopo quel periodo siamo diventati più seri. Il registro ironico c'è ancora ma siamo un po’ meno propensi a scherzare – spiega Lasagni – Anche perché non siamo un'isola, ci occupiamo di tutto e subito dopo il covid è arrivata la guerra, e i migranti continuano a morire mentre cercano una vita migliore. I tempi sono duri, sono seri”.

A Psicoradio si arriva attraverso una selezione in cui viene segnalata la disponibilità di posti in tirocinio formativo e si specificano alcune attitudini che le persone dovrebbero avere, ad esempio quella di lavorare in gruppo. “I redattori cambiano in continuazione e ognuno porta una sua prospettiva, una sua voce. Adesso siamo solo in 7 ma a settembre arriveranno nuove persone”, dice Albini.
Nell'ultima selezione sono arrivate richieste da persone molto giovani e tra il 2022 e il 2023 ne sono entrate sei. “Una novità che mi ha stupito in modo positivo – dice Lasagni – Due di loro si sono appassionati alla radio, alle discussioni, alle cose che hanno imparato, tanto da decidere di riprendere gli studi che avevano interrotto. È una grande soddisfazione”.

Nel 2006 Psicoradio è nata con due obiettivi: da un lato, raccontare la salute mentale ad ampio spettro, in modo non didattico, facendo programmi radiofonici di livello professionale; dall'altro, mettere in piedi un progetto riabilitativo per persone espulse dal mercato del lavoro o della scuola, la cui vita era stata interrotta anche per anni, e farlo attraverso un mestiere creativo e appassionante come il giornalismo radiofonico. “Volevamo cercare di influire sulla cultura diffusa, dimostrare che anche per persone con una diagnosi psichiatrica era possibile produrre trasmissioni interessanti che non avessero nulla da invidiare a quelle fatte da chi quella diagnosi non ce l'ha e poi lavoriamo tanto sui pregiudizi per scalfire l'idea, per esempio, che le persone con problemi di salute mentale non sappiano fare niente e che non potranno mai stare meglio o guarire. Oppure il pregiudizio che siano più pericolose delle altre”, dice Lasagni che ricorda il convegno “Pericoloso chi?” organizzato anni fa da Psicoradio insieme all'Ordine dei giornalisti dell'Emilia-Romagna e all'Università di Bologna e dal quale è emerso che, in percentuale, non sono le persone con disturbi psichici quelle da temere quanto piuttosto gli ex partner.

Con la pandemia si è iniziato a parlare di più di salute mentale anche sui media mainstream, “un fatto positivo”, secondo la direttrice di Psicoradio. Perché si tratta di temi che sono stati taciuti per tanto tempo, e che venivano nascosti o sottovalutati anche all'interno delle famiglie, con effetti terribili.
“Oggi se ne parla di più e ci si avvicina con meno scetticismo ai problemi di salute mentale, si parla più di cura e il messaggio arriva più velocemente”, dice Lorenzo Albini.
“Sicuramente è un bene che se ne parli di più. A lasciarmi perplessa però è il fatto che la soluzione prospettata sia sempre lo psicologo, il farmaco, la psicoterapia, mentre è la cultura a dover cambiare. Non basta una cura, devono anche cambiare i contesti, in primis quello lavorativo perché è ancora molto difficile per chi ha una diagnosi psichiatrica trovare un lavoro”, aggiunge la direttrice.
Un altro pregiudizio che fatica a indebolirsi è l'idea che chi ha una diagnosi psichiatrica non possa stare meglio, che non ci sia possibilità di guarigione, “è quello che condanna alla condizione di eterno paziente, dove nessuna persona con una diagnosi psichiatrica potrà conquistarsi una vita in cui ci sia posto anche per affetti, passioni, lavoro”, dice Lasagni.

Il tema della guarigione è al centro di uno degli ultimi lavori realizzati da Psicoradio, “Storia della mia cura”, una trasmissione in tre puntate in cui Lorenzo Albini racconta il suo percorso ventennale di cura in un dialogo a due voci con la sua psichiatra/psicoterapeuta, Mariangela Pierantozzi.
“Ho proposto io di intervistare la mia psicoterapeuta – spiega Albini – La mia esperienza è abbastanza inusuale perché sono seguito sia dai servizi di salute mentale che da una psichiatra esterna, per questo ho pensato di portarla in radio”.
L'idea del racconto di un caso clinico non è certamente nuova, basta pensare alla narrazione dei casi di Sigmund Freud. Per questo Cristina Lasagni ha pensato invece a un racconto parallelo in cui la persona in cura, Lorenzo, e la persona curante, la sua psichiatra, si alternano in un dialogo incalzato da domande e suggestioni della stessa Lasagni. “La storia di Lorenzo è inusuale ma è anche straordinaria perché grazie alla psicoterapia e a un progetto come Psicoradio, Lorenzo ha avuto una notevolissima evoluzione, e oggi sta molto meglio, tanto che ha smesso di sentire le voci. Nel raccontarla volevamo evitare di tenere separati paziente e psicoterapeuta, come abbiamo fatto molte volte in radio – racconta Lasagni – Questo ascolto invece ti porta dentro la stanza del terapeuta. Ed è lì che si capisce che sono le persone a fare la differenza”.

È la presenza costante del terapeuta a fare la differenza, il suo impegno, la sua attenzione, il non arrendersi al primo intralcio, la sua apertura alla possibilità di un cambiamento, di un miglioramento. “Devi dedicare alla persona il tuo pensiero curante”, dice Mariangela Pierantozzi in “Storia della mia cura”, una cosa che lei ha fatto con Lorenzo, condividendo con lui anche molti momenti al di fuori delle sedute.

Una delle riflessioni che Cristina Lasagni ha rivolto a Mariangela Pierantozzi riguarda proprio il fatto che un rapporto come quello che si è instaurato tra Lorenzo e la sua terapeuta, l'attenzione e il tempo che vi ha dedicato, sono possibili solo nel privato, un servizio a cui non tutti possono accedere. “Pierantozzi ha lavorato per molti anni nel servizio pubblico prima di iniziare l'attività privata, e a quella domanda ha risposto 'io lavoravo così anche nel pubblico' – dice Lasagni – Non penso sia l'unica a farlo, ma è vero che a fronte di una richiesta sempre più grande di psicoterapia ci sono poche risorse e poco personale. L'Italia, il Paese che per primo ha detto ad alta voce che non si può curare in manicomio, oggi è tra quelli che investono meno in psichiatria”.

C'è voluto molto tempo per realizzare “Storia della mia cura” e un lungo lavoro di editing sull'intervista a tre realizzata da Lasagni. “Il lavoro è stato lungo anche perché il mio percorso di cura dura da vent'anni ma ne ho parlato volentieri e con soddisfazione – conclude Albini – Nei Centri di salute mentale spesso non ci sono tempo e condizioni per un percorso come quello che ho fatto io, per creare una relazione come quella che ho con la mia psicoterapeuta; per mancanza di risorse si fatica a seguire le persone. L'obiettivo è fare in modo che se ne discuta per vedere se c'è qualche possibilità di cambiamento. Questo lavoro è uno spunto. Spero che lo ascoltino in tanti, soprattutto tra gli operatori”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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