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Io non sono la mia malattia: a Casalecchio di Reno si sperimenta il Recovery College

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Il progetto dei Recovery College si sta svolgendo progressivamente su tutti i territori della zona metropolitana di Bologna. Una delle zone in cui si è svolto un corso di formazione è quello del distretto Ausl di Casalecchio di Reno, dove un gruppo misto di utenti familiari operatori e cittadini hanno partecipato a quattro incontri di approfondimento sul tema. Fra questi abbiamo sentito Diego Tuzzolo, della cooperativa Il Martin Pescatore, con il quale abbiamo dialogato per comprendere come i Recovery College vengono interpretati fra i partecipanti.

RecoveryCasalecchio

Un corso sulla Recovery con il titolo “Io non sono la mia malattia”: potresti spiegarci il perché della scelta di dare un titolo e quale significato gli avete assegnato?

L'intenzione era di specificare fin dal titolo del corso che la malattia è solo un incidente di percorso nella vita di una persona e non rappresenta né la sua sintesi, né la sua totalità. Ognuno di noi è molto altro, in continua evoluzione, con svariate risorse e vi è la possibilità di intraprendere un processo di recovery che non contempla necessariamente la guarigione clinica (ovvero l'assenza di sintomi), ma che mira a una dimensione di benessere complessivo. E nel Recovery College questo percorso lo si intraprende assieme ad altri.

La Recovery è un metodo e non una terapia. In quale modo interviene per alleviare i dolori quotidiani della psiche?

La recovery ha una dimensione fenomenologica, legata all'esperienza. Nel Recovery College si sperimenta una condivisione orizzontale di scambio e riflessione in un ambiente “morbido” e non giudicante, nel quale ognuno mette a disposizione le sue risorse, il suo pensiero costruttivo e positivo con gli altri partecipanti sulla base di argomenti che rappresentano il “filo rosso” anche da un punto di vista formativo. Ecco, questa esperienza di recovery svolta nel corso base di Recovery College non solo propone, ma fa vivere un nuovo sguardo possibile rispetto alla vita, focalizzando elementi importanti che possono rappresentare, dovutamente nutriti, una chiave di volta e di rinascita a livello personale non solo per i pazienti ma per tutti i partecipanti al corso.

Ritieni da professionista che una persona con disturbi possa acquisire delle abitudini durature che sconfiggano le emozioni distruttive?

Sono convinto che la recovery sia un cambio di prospettiva, comunque declinata a livello personale da ogni persona portatrice di fragilità, vulnerabilità, malattia. Il Recovery College propone un'esperienza gruppale con una base di confronto formativo. All'interno del corso si focalizzano anche i circuiti virtuosi e viziosi, la necessità di relazioni positive, di comunità, l'importanza dell'ottimismo e della speranza. Non si tratta in realtà di sconfiggere le emozioni negative ma di dar vita a un processo trasformativo che tende a una nuova identità di vita, a una dimensione di benessere che potremmo chiamare olistica, da curare giorno per giorno.

Quali sono secondo te i punti forti del metodo della recovery?

Sintetizzando potremmo dire questi: i partecipanti sono sullo stesso piano all'interno del gruppo del Recovery College e, essendo il corso aperto alla comunità, potrebbero essere pazienti, professionisti, familiari, cittadini. Certamente ognuno porta il suo bagaglio personale di esperienza, di percorso anche professionale, ma lo sguardo, il confronto è alla pari. Non a caso i facilitatori non sono conduttori, ma si limitano ad agevolare lo scambio della parola e a proporre spunti di riflessione e formazione per il gruppo. Chiunque, del resto, dopo il corso base, può proporsi come facilitatore per i corsi successivi. Inoltre lo sguardo del Recovery College è impregnato di ottimismo e speranza, rifuggendo da tecnicismi e narrazioni cliniche.

Il corso si è articolato in quattro incontri. Cosa hai potuto cogliere da partecipante e da operatore?

È una boccata di ossigeno! Apre spazi ampi di confronto, riflessione, condivisa e introspettiva, formazione, stare insieme. Direi che è un corso umanizzante, che travalica le etichette e le identità sociali.




 

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...quando amavamo
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perché, dicevano, un pazzo
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