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Alimentazione e salute mentale, viaggio nell'acetaia di Savignano sul Panaro

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Daniele Collina, redattore di Sogni&Bisogni

Continuano le visite organizzate nell'ambito del corso sulla sana alimentazione organizzato nel 2022 dall'associazione Cercareoltre. Dopo la visita del 24 maggio al caseificio Santa Lucia di Rocca di Roffeno, una frazione di Castel d'Aiano (Bologna), il 28 giugno è stata la volta dell'acetaia comunale di Savignano sul Panaro, in provincia di Modena.

Foto articolo acetaia

Alla visita hanno partecipato 17 persone, tra frequentatori dei corsi sulla sana alimentazione, soci ed educatori di Progetto Itaca Bologna, volontari delle associazioni della salute mentale e persone provenienti dalla residenza Gaibola con una educatrice.

Arrivato sul posto il gruppo è stato accolto da Luigi Scelleri, il conduttore dell'acetaia, che lo ha portato a visitare gli ambienti in cui viene prodotto l'aceto. L'acetaia comunale è a dimora all'ultimo piano della torre dedicata ad Arsenio Crespellani, illustre archeologo e numismatico savignanese. Fondata nel 2003 dallo stesso Scelleri e voluta dall'amministrazione di allora, dall'anno 2020 è in fase di certificazione per ottenere la Denominazione di origine protetta (Dop) grazie all'avvenuta collaborazione della Consorteria dell'aceto balsamico tradizionale di Modena, che ha sede a Spilamberto.

La visita è cominciata nella sala didattica dell'acetaia. “Qui riceviamo le persone e facciamo anche delle degustazioni per capire a che punto è l'aceto – ha spiegato Scelleri – È anche il luogo in cui abbiamo creato un'anagrafe delle famiglie savignanesi che producono aceto balsamico per uso famigliare. Solo con il passaparola in pochi anni abbiamo raccolto più di 60 campioncini di famiglie i cui nomi vengono iscritti in un libro in stile medievale, un archivio che durerà per sempre”.

Dopo aver ammirato la vetrinetta in cui sono conservate le bottigliette delle famiglie, la visita è proseguita nella sala delle botti, un ambiente piccolo in cima a una stretta scala a spirale in cui i partecipanti sono entrati a turni. Chi è rimasto nella sala didattica ha potuto nel frattempo vedere un video sulla storia e sulla produzione dell'Aceto Balsamico Tradizionale Dop dove ha scoperto che le prime notizie ufficiali sulla produzione dell'aceto, che i duchi Estensi chiamavano “balsamo”, risalgono al 1500.

L'aceto balsamico tradizionale è un prodotto unico al mondo che può essere fatto solo in questa provincia e in quella di Reggio Emilia con le uve di trebbiano e lambrusco – ha raccontato Scelleri - Per fare l'aceto occorre una serie di sei botti, chiamata batteria. Sono tutte fatte di legni diversi, perché ogni legno dà un sapore e un profumo differente all'aceto, e di dimensioni decrescenti”.

Le batterie vengono create acetificandole con un aceto forte di vino che viene lasciato nelle botti per un periodo che va da sei mesi a un anno perché il legno nuovo si impregni di acetobatteri. “Passato questo periodo le botti vengono svuotate dall'aceto e riempite con il mosto cotto, che si ottiene pigiando l'uva ma senza la fermentazione acetica. Non vengono riempite fino all'orlo perché gli acetobatteri si nutrono di ossigeno”.

Gli acetobatteri lavorano solo in estate, quando le temperature sono superiori ai 20 gradi. Più o meno dalla fine di ottobre, quando le temperature scendono e inizia a fare freddo, vanno in letargo. “A questo punto interveniamo noi – ha spiegato Scelleri - In estate l'aceto evapora, viene assorbito dai legni e si concentra. Il livello nelle botti cala di circa il 10% e noi lo rabbocchiamo con il mosto cotto nuovo proveniente dalla vendemmia autunnale che viene conservato in botti chiamate badesse o botti madri in cui inizia la fermentazione acetica. Il mosto cotto nuovo viene aggiunto alla botte più grande, poi da questa prendiamo la quantità necessaria per rabboccare quella successiva, fino ad arrivare a quella più piccola”.

Questo ciclo viene ripetuto ogni anno per vent'anni. Solo dopo vent'anni si può raccogliere l'aceto balsamico extra-vecchio dalla botte più piccola. Da quel momento ogni anno si può raccogliere l'aceto. Questa lavorazione giustifica il costo elevato. Da ogni batteria si raccoglie un litro e mezzo di aceto, dato che il livello di liquido nelle botti non deve mai scendere sotto la metà pena la disarmonizzazione dell'aceto con rottura degli equilibri naturali. Nell'acetaia comunale di Savignano sul Panaro ci sono quattro batterie.

L'aceto è un prodotto che non invecchia mai, le botti vecchie sono preziose grazie agli enzimi che impregnano il legno rendendo sempre più nobile l'aceto che vi è contenuto. “Conosco famiglie che hanno ereditato da nonni e bisnonni botti di 120 o 130 anni – ha detto Scelleri - Dopo tutti questi anni con l'acidità la botte si decompone, non tiene più, ma non viene buttata via. Il bottaio fa il rifoderamento, cioè vi costruisce una botte più grande per non perdere gli enzimi”.

Come ho già accennato – ha concluso Scelleri - l'aceto balsamico ha bisogno di tanto caldo d'estate e tanto freddo d'inverno ed è per questo che viene fatto nei granai o nei solai. Uno dei problemi maggiori è l'umidità e la formazione di muffe in superficie che mangiano gli acetobatteri”.

La produzione dell'acetaia comunale non è destinata alla vendita ma viene utilizzata in manifestazioni gastonomiche e, da alcuni anni, il sindaco di Savignano sul Panaro ha pensato di regalarne una piccola boccetta alle coppie che si sposano, come augurio che il loro matrimonio possa durare a lungo, così come l'aceto.

Al termine della visita, il gruppo ha potuto assaggiare l'aceto con cucchiaini di plastica (il metallo non si può usare).

Per essere denominato come tradizionale Dop l'aceto balsamico deve superare un esame in cui a ogni caratteristica viene assegnato un punteggio. La somma totale deve essere maggiore di 270 punti e solo a questo punto lo si può mettere, alla presenza del produttore, nella tradizionale boccetta da 100 centilitri.

Terminata la visita il gruppo si è spostato in un ristorante della zona dove ha pranzato con un tris di primi, tigelle e gnocco fritto con tagliere di salumi e dolce. Dopo pranzo, c'è stato il tempo per un breve giro a Modena per vedere il Duomo e la Ghirlandina, il campanile simbolo della città.

Tra i partecipanti c'era anche Samanta Malossi, una socia dell'associazione Cristina Gavioli che ha frequentato il corso sull'alimentazione sana, a cui la visita è piaciuta molto: “È stata molto interessante e mi sono divertita, facendo un'esperienza nuova. L'aceto mi piace molto e sono rimasta colpita dal metodo di produzione del balsamico, in particolare il sistema delle batterie di sei botti e i vent'anni necessari per raccoglierlo. Ho capito perché ha un costo così elevato”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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