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A che punto siamo con la lotta allo stigma in salute mentale?

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Daniele Collina, redattore di Sogni&Bisogni

Negli ultimi vent’anni l’opinione pubblica mondiale ha mostrato una crescente sensibilità e attenzione nei confronti del problema dello stigma verso le persone che soffrono di un disturbo mentale.

Articolo libro stigma

Questo tema è ampiamente trattato nel libro “Lo stigma dei disturbi mentali – Guida agli interventi basati sulle evidenze” (Giovanni Fioriti Editore, 2022) di Antonio Lasalvia, Professore Associato di Psichiatria presso il Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, Responsabile medico del Centro di Salute Mentale di Verona Sud, Unità Operativa Complessa di Psichiatria, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI) Verona.

Il libro è stato presentato il 30 maggio 2023 con l’autore presso la biblioteca dell’Istituto Minguzzi con un dibattito molto partecipato che ha visto gli interventi di numerose persone seguite dai servizi, operatori dei Centri di Salute Mentale e studenti dell’università.

Il termine “stigma” deriva da un sostantivo greco indicante il marchio o segno che distingueva gli schiavi dagli uomini liberi oppure individui da bandire o evitare. Tale termine è stato adottato dalla psichiatria sociale per definire l’insieme di connotazioni negative che vengono attribuite alle persone con problemi di salute mentale a causa del loro disturbo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo definisce “un marchio di vergogna, di disgrazia, di disapprovazione che fa rifiutare, discriminare ed escludere un individuo da contesti e situazioni proprie della vita sociale” (OMS 2021). Lo stigma nasce da radicati stereotipi e pregiudizi. Tutto ciò porta a ripercussioni significative sulla vita di tutti i giorni.

Vi sono, scrive Lasalvia, diverse tipologie di stigma: da quello percepito al dichiarato, dallo stigma anticipatorio che riguarda lo stigmatizzato ed è molto invalidante a quello strutturale causato da leggi e politiche di istituzioni pubbliche o private. Molto diffuso è lo stigma degli operatori sociosanitari da parte di professionisti, a volte addirittura all’interno degli stessi servizi di salute mentale. Infine, ricordiamo lo stigma internalizzato o auto-stigmatizzazione in cui la persona stigmatizzata considera veri (e giustificati) stereotipi e pregiudizi su lui stesso con conseguente riduzione dell’autostima e rinuncia alla vita sociale o alla ricerca di un lavoro.

I numerosi studi effettuati sullo stigma hanno portato a distinguere le varie discriminazioni in base al disturbo mentale. Molto diffuso e radicato è quello verso le persone con schizofrenia a tal punto che questa parola è diventata un sinonimo di squilibrio ed è impropriamente utilizzata in tanti campi non solo sanitari, ad esempio si dice partita schizofrenica o politica schizofrenica. Anche nei casi di esordio psicotico abbiamo un forte stigma e spesso vi sono fenomeni di vergogna provata dal paziente e di colpevolizzazione da parte anche dei datori di lavoro (fingi di stare male per non lavorare). Non sono esenti nemmeno i giovani a rischio di psicosi, nel quale caso vi può essere discriminazione da parte di famigliari, conoscenti e amici e qui entra in gioco lo stigma internalizzato con conseguente rifiuto della cura per non essere additato come pazzo, matto, pericoloso o pigro. Anche nei casi di ansia e depressione, i due disturbi più accettati vi è comunque stigma e molte persone tendono a nascondere il proprio malessere per non essere giudicati.

Nel libro vi è un intero capitolo dedicato allo stigma in ambito sanitario. Le persone con disturbi mentali soffrono di patologie fisiche maggiori rispetto alla popolazione generale causate da cattiva alimentazione e stili di vita poco sani (fumo, alcol, sostanze psicoattive e scarsa attività fisica) ed effetti collaterali degli psicofarmaci. Lo stigma porta a una disparità nell’assistenza sanitaria, come se si considerasse solo la parte mentale dimenticandosi del fisico. Vi è un “oscuramento diagnostico” attraverso cui i professionisti sanitari tendono ad attribuire tutti i sintomi al disturbo mentale di base trascurando o escludendo i trattamenti per le patologie organiche. Ciò accade anche da parte della medicina di base in cui il medico, intenzionalmente o involontariamente, presenta atteggiamenti discriminatori spesso basati sulla presunta pericolosità del paziente con disturbo mentale. Per affrontare questo tipo di stigma sono molto importanti gli interventi informativi rivolti agli studenti in medicina.

Un altro intero capitolo è rivolto allo stigma dei disturbi mentali nei servizi psichiatrici. È un tema affrontato solo di recente e inizialmente solo da un punto di vista qualitativo. I problemi maggiori risultano l’essere ignorati, tenuti in attesa molto a lungo prima di essere visitati, mancato rispetto della privacy della diagnosi, sentirsi poco ascoltati o sfavoriti nell’accesso alle cure. Inoltre, capita spesso la percezione di un generale e preoccupante pessimismo terapeutico da parte dei curanti con addirittura veri e propri atteggiamenti di evitamento e rifiuto. Anche l’iperprotettività, o “atteggiamento paternalistico”, con la tendenza a infantilizzare i pazienti è potenzialmente stigmatizzante dato che il paziente si sente di fatto trattato “come bambino”. Le indagini in questo campo hanno portato a individuare come possibile causa il burnout che colpisce molti professionisti sanitari, con produzione di atteggiamenti cinici e di distacco favorendo l’insorgere di idee preconcette e stereotipi. Altri problemi gravi nascono dagli effetti collaterali degli psicofarmaci, eccessiva sedazione e aumento di peso, che favoriscono lo stigma in quanto rendono visibile il disturbo diventando un “marchio” anche fisico. Infine gli psichiatri dovrebbero prestare maggiore attenzione all’effetto stigmatizzante delle diagnosi che non devono essere superficiali e stereotipe con il rischio di creare “etichette diagnostiche”. Molto importante in tutti questi casi di stigma è l’informazione e la consapevolezza. Fondamentale risulta l’organizzazione dei servizi e il coinvolgimento degli utenti e dei famigliari nella pianificazione, erogazione e valutazione degli interventi. Un’ulteriore strategia può essere la costituzione di gruppi di mutuo-auto-aiuto incrementando così l’autostima e l’appartenenza al collettivo e riducendo la dipendenza dai servizi.

I mezzi di comunicazione, giornali, televisioni e social, rappresentano il principale veicolo di propagazione di stereotipi e pregiudizi, aiutando a diffondere presso l’opinione pubblica l’immagine delle persone con disturbi mentali come soggetti violenti, aggressivi e pericolosi. Spesso vengono utilizzati termini fortemente stigmatizzanti quali pazzia/pazzo, follia/folle e mostro/mostruosità. Al contrario un utilizzo corretto dei mass media può essere molto utile nelle campagne anti-stigma promuovendo lo sviluppo di un’immagine positiva delle persone con disturbi mentali. Un intervento in tale direzione è favorire il contatto diretto tra chi soffre o ha sofferto di patologie psichiche e i giornalisti professionisti e gli studenti nei corsi universitari di giornalismo.

Fondamentale è anche l’introduzione di linee guida su come scrivere e comporre un articolo e quale linguaggio utilizzare. Tali guide sono state prodotte da agenzie governative, quali il ministero della Salute, o da fondazioni non governative in diversi Paesi quali Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Scozia e altri. Occorre mettere bene in chiaro i termini che non si devono usare e porre l’attenzione sulla persona e non sulla malattia mentale. In Italia è stato fatto poco, a parte alcune iniziative locali e un corso di formazione giornalistica promosso nel 2016 dalla Società Italiana di Psichiatria (SIP) in collaborazione con l’Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione (UNAMSI). C’è stato anche un tentativo nel 2010 di redigere una carta deontologica per i giornalisti in tema di salute mentale, la cosiddetta “Carta di Trieste” ma l’esistenza di questo documento è sconosciuta alla gran parte degli operatori dell’informazione e alla quasi totalità degli operatori della salute mentale.

A questo punto ci possiamo chiedere, in base alle evidenze scientifiche e alle esperienze delle principali campagne nazionali, quali sono i programmi anti-stigma più efficaci: devono essere multidimensionali e condotti a differenti livelli, ma soprattutto è necessario che siano in grado di operare un vero e proprio cambiamento culturale a livello delle più ampie strutture sociali nel contesto delle quali le persone agiscono.

Per lo stigma strutturale occorre modificare le legislazioni, i provvedimenti normativi e le linee di indirizzo politico. Tutto questo per rimuovere barriere come la carenza o la poco accessibilità dei servizi, la violazione dei diritti, la mancanza di iniziative di promozione della salute, la mancanza di alloggio e la disoccupazione.

Lo stigma pubblico va contrastato tramite la diffusione di informazioni corrette e scientificamente fondate sui disturbi mentali da parte di professionisti e/o opinion leader onde ridurre gli stereotipi. Questa strategia non deve essere generale ma indirizzata verso specifici gruppi sociali “bersaglio” quali, ad esempio, studenti delle scuole superiori, ponendo l’enfasi sul concetto di persona, sulla competenza, inclusione e diritti umani. Serve “normalizzare” la sofferenza mentale e non creare una rigida separazione tra “noi” senza disturbo e “loro” che ce l’hanno.

Gli interventi con maggiori evidenze scientifiche di efficacia sono quelli che favoriscono il contatto diretto tra persone con, o che hanno avuto, disturbi mentali, preferibilmente in una condizione di recovery, e la popolazione generale. È possibile anche usare supporti videoregistrati. L’importante è stabilire una interazione tra escludente ed escluso. Vi sono anche gli interventi di protesta, iniziative collettive o individuali nei confronti di contenuti potenzialmente stigmatizzanti trasmessi dai mass media o di dichiarazioni discriminatorie, anche se l’efficacia reale di ciò ha raramente trovato una verifica empirica.

Anche nei confronti dello stigma internalizzato (self-stigma) vi sono molti possibili interventi e nel libro si trova un lungo elenco di quelli maggiormente citati nella letteratura internazionale. Sono per lo più basati sulla psico-educazione, sull’informazione e sulle tecniche di ristrutturazione cognitiva.

In molti Paesi del mondo sono state realizzate campagne nazionali anti-stigma che hanno dato vita a un coordinamento internazionale denominato Global Anti-stigma Alliance che riconosce dei concetti comuni: leadership delle persone con esperienze di salute mentale ed empowerment; speranza, recovery, dignità; implementare interventi basati sulle evidenze; promuovere l’eguaglianza e i diritti umani; focalizzarsi sia sulla popolazione generale che su persone con esperienza diretta di salute mentale; impegno a lungo termine. I Paesi coinvolti sono stati Nuova Zelanda, Australia, Scozia, Inghilterra, Canada, Svezia, Danimarca, Spagna, a livello sia di governi locali che associazioni e fondazioni.

In Italia l’interesse per la lotta allo stigma è stato piuttosto tiepido, soprattutto a livello delle istituzioni nazionali. A parte un paio di iniziative isolate quali ad esempio la Prima Campagna Nazionale per la salute Mentale: “Non è diverso da te. Curare i disturbi mentali si può, nessun pregiudizio, nessuna esclusione” promossa dal ministero della Salute nel 2004 e l’apertura nel 2006 del programma di comunicazione contro il pregiudizio in salute mentale attivato su un sito web a cura dello stesso ministero, il panorama nazionale è sconfortante.

Esistono molte iniziative locali e si sta cercando di fare un database delle iniziative in giro per l'Italia. Manca però un grande progetto di lotta allo stigma, organico e diffuso sull’intero territorio e dotato di una regia e strategia complessiva adeguatamente finanziato e basato sulle migliori evidenze scientifiche. Rispetto al panorama internazionale, l'Italia è molto indietro anche sui social network e questo è un limite nel raggiungere la popolazione giovanile.

Un capitolo a sé merita il problema della schizofrenia. Come già sopradetto ormai questa parola è compromessa e associata a connotazioni altamente negative. Inoltre, la stessa etimologia della parola non ha niente a che fare con la cifra clinica e psicopatologica del disturbo. In Giappone, dopo un processo iniziato nel 1993 su iniziativa di un'associazione, nel 2005 il ministero della Salute giapponese ha riconosciuto il cambio di nome in “Sindrome da disregolazione dell’integrazione”. Sono in corso procedimenti simili anche in altri Paesi asiatici e il termine schizofrenia sta lentamente cadendo in disuso anche tra gli psichiatri occidentali, anche se non c’è ancora accordo sul nuovo nome da utilizzare né tra i professionisti e né tra le associazioni di utenti e familiari. Da notare comunque che l’eventuale cambio di nome, pur essendo un primo passo importante non sarebbe sufficiente a cambiare la percezione pubblica del disturbo che andrebbe supportata da campagne educative e anti-stigma.

Nella bibliografia, che chiude il libro, si nota la mancanza quasi totale di pubblicazioni in lingua italiana, anche da parte di ricercatori Italiani. In Italia, infatti, ci sono pochissime riviste che hanno un impatto importante, come la Rivista di Psichiatria e un altro paio di pubblicazioni, e quindi quei pochi che si occupano dell'argomento, da un punto di vista scientifico, entrano in un dibattito internazionale scrivendo in inglese. Uno dei motivi per cui Lasalvia ha scritto “Lo stigma dei disturbi mentali” è proprio quello di pubblicare le conoscenze sul tema, cercando di coinvolgere anche il pubblico italiano.

Completa il libro un'appendice sugli strumenti di misurazione dello stigma, perlopiù questionari con risposte a domande in scale che vanno dal pieno accordo al totale disaccordo. Questi ultimi sono molto importanti per capire come lo stigma è diffuso e come eventuali campagne possono modificarlo.

Noi di Sogni&Bisogni riteniamo che questo libro meriti di essere letto in virtù della grande mole di informazioni in esso contenute e della rigorosità scientifica con cui viene affrontato un tema di grande importanza nel campo della salute mentale. Ridurre lo stigma può essere di grande aiuto a utenti, familiari e anche agli operatori.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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