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Promuovere la salute fisica nei Centri di salute mentale. L'esperienza del Borgo-Reno

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di Mauro Scala, medico in formazione specialistica della Scuola di specializzazione in psichiatria dell'Università di Bologna e Rossella Michetti, responsabile del Csm Borgo-Reno, UO Psichiatria Bologna Ovest, Dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell'Ausl di Bologna

È ormai risaputo che i fattori biologici sono necessari ma non sufficienti per determinare una malattia mentale. Esperienze personali traumatiche, uso di sostanze, sedentarietà, abitudini alimentari scorrette, ridotta qualità del sonno e delle relazioni interpersonali rappresentano fattori di rischio per l’insorgenza delle malattie psichiatriche.

FotoArtBorgoReno
Da diversi anni la ricerca e la conseguente pratica clinica hanno condiviso il proposito di limitare tali fattori di vulnerabilità. Nel Centro di Salute Mentale (CSM) Borgo-Reno della UO Psichiatria Bologna Ovest abbiamo concordato con i pazienti l’obiettivo primario di rinforzare le abilità personali di resilienza. Riteniamo infatti che la tutela della salute non si esplichi esclusivamente nella cura dei sintomi della malattia mentale, ma soprattutto nella riacquisizione delle capacità individuali. Uno dei mezzi che abbiamo individuato per veicolare questo principio è l’esercizio fisico.
A tal proposito, il personale infermieristico del CSM Borgo-Reno collabora con i medici per trasmettere ai pazienti l’importanza di un’attività fisica adeguatamente dosata e personalizzata al fine di alleviare la sofferenza mentale e migliorare la qualità di vita. Tale obiettivo è ancor più perseguibile nei casi in cui l’attività fisica è supportata da una terapia psicofarmacologica e psicologica. In quest’ottica sono nati alcuni anni fa due progetti di promozione della salute fisica tutt’ora presenti: il “gruppo camminate” promosso nel 2021 e il “gruppo palestra” avviato nel 2016. Entrambi, vengono proposti ai pazienti al fine di prevenire le ricadute e consolidare i risultati raggiunti.

Il “gruppo camminate” prevede incontri di un'ora ogni due settimane. Due infermiere, Silvia Astolfi e Nadia Guidi, effettuano un percorso con una decina di utenti compreso tra 3 e 5 km nel quartiere Borgo per sette mesi all’anno.
Il “gruppo palestra”, incentivato dalle infermiere Loretta Casarini e Michela Gaggioli si tiene bisettimanalmente nella palestra di una parrocchia del medesimo quartiere per otto mesi all’anno. Un personal trainer aiuta una quindicina di utenti a mettere in pratica esercizi di ginnastica leggera a corpo libero. Nel caso in cui l’utente lo desideri possono partecipare anche i caregiver.
Attraverso l’attività motoria, risulta anche possibile rinforzare i contatti tra le persone nel territorio abbattendo i confini imposti dalla malattia e dallo stigma. È stato proprio quest’ultimo a rappresentare il primo ostacolo alla partecipazione al “gruppo camminate”. L’ambiente chiuso della palestra è stato vissuto come più protettivo dagli sguardi di conoscenti, amici e parenti. Grazie agli interventi educativi e motivazionali promossi dagli infermieri, in tanti hanno deciso successivamente di partecipare alle camminate pomeridiane. Questa è stata per tutto il gruppo una prima grande vittoria. Il “gruppo palestra”, complice anche il tipo di allenamento più ambizioso, definito e contestualizzato, ha goduto di una più ampia partecipazione. Nella palestra, infatti, è stato maggiormente percepito il senso di appartenenza.

In entrambi i casi, l’attività fisica di gruppo ha stimolato le abilità cognitive ed esecutive. Ricordare e rispettare un orario, recarsi autonomamente al luogo d’incontro, portare con sé il necessario, incontrare nuove persone in diversi contesti, apprendere nuovi pattern di movimento rispettando il “timing” del gruppo costituiscono parte degli obiettivi terapeutici dei due progetti proposti. È provato che l’attività fisica aerobica come le camminate, la corsa e la ginnastica leggera, promuova il trofismo e le connessioni tra neuroni. Aumenta inoltre la neuroplasticità e il funzionamento di aree cerebrali dedicate non solo alle attività motorie ma anche alla memoria, all’orientamento, alle capacità attentive, di concentrazione, di controllo delle emozioni e degli impulsi.

Tali cambiamenti contribuiscono insieme a rendere il movimento fluido e coordinato con un aumento delle abilità propriocettive, cui consegue una maggior acquisizione del senso di sé e dell’altro nello spazio e nell’ambiente. Per chi soffre di patologie dello spettro psicotico, la definizione e l’acquisizione dei limiti dei confini dell’Io può essere carente in alcune fasi della malattia. Il miglioramento del trofismo neuronale rende i neuroni più sensibili e reattivi a diverse sollecitazioni ambientali aumentando dunque la responsività interpersonale. Praticare attività fisica in compagnia ha infatti migliorato le capacità relazionali dei partecipanti inizialmente frenati dal timore di rimanere impacciati e a disagio davanti a persone con storie, caratteri e interessi tanto diversi tra loro. Le sensazioni iniziali più comunemente riscontrate sono state paura, imbarazzo e vergogna: “Temo di non essere in grado”, “in mezzo a tante persone mi imbarazzo e non riesco a muovermi, rimango impacciato”.

Solo in pochi, in principio, hanno manifestato curiosità. Ancora più rari sono stati coloro che si dichiaravano felici di partecipare a questa iniziativa: “Sono felice di poter iniziare una nuova attività in compagnia!”. I primi incontri nella maggior parte dei casi sono stati caratterizzati da demotivazione e sentimento di solitudine. “È troppo difficile per me”, “non riesco a legare con le altre persone”. Durante il percorso, tuttavia, da quanto era possibile osservare, i partecipanti si sono sentiti sempre meno soli e sempre più liberi di condividere le proprie difficoltà e sofferenze in un contesto interpersonale che lasciasse spazio e libertà d’espressione e di comunicazione scevra da ogni giudizio. La presenza del personale sanitario ha senz’altro aiutato a costruire un tipo di dialogo e comportamento validante e costruttivo.

Il “gruppo camminate” ha insegnato ad adeguarsi al passo dell’altro, a rispettare i ritmi di tutti, senza che nessuno si sentisse lasciato in disparte. Il timore di manifestare un proprio difetto che potesse divenire oggetto di critica e derisione ha impedito ad alcuni la partecipazione al “gruppo palestra”. Il movimento avrebbe infatti potuto svelare alcune imperfezioni corporee, difficoltà nell’imparare un esercizio e nel portarlo a termine nei tempi concordati. L’inevitabile confronto con l’altro, dunque, in alcuni casi ha vinto sul desiderio di mettersi in gioco. In chi ha aderito alla proposta abbiamo poi notato come progressivamente questo confronto “inquisitorio”, si sia trasformato in un’affascinante scoperta di sé stessi e dell’altro: “Ho scoperto di essere bravo nello sport e non pensavo di esserlo”.

Il gruppo ha aiutato il singolo nel rendersi conto che i propri timori e difficoltà fossero in realtà condivisi dalla maggior parte dei partecipanti. In questo caso il beneficio non è stato causato dal “mal comune mezzo gaudio”, ma dall’elaborazione interpersonale di una difficoltà solo apparentemente individuale. Insieme si stabilivano esercizi in cui tutti potessero cimentarsi. Lo sport contestualizza la paura, ne aumenta la comprensione e di conseguenza la attenua. Diversi pazienti alla fine del percorso hanno riferito di “non vergognarsi più di muoversi davanti agli altri o fare attività fisica in compagnia”. Il gruppo, se adeguatamente formato, protegge e insegna. Il singolo si rinforza, comprende ed apprende. La soddisfazione condivisa è derivata inoltre dal riuscire a portare a termine un’attività. L’essere parte di un gruppo con un obiettivo comune ha fatto nascere la motivazione e ha sostenuto la partecipazione. Quasi tutti gli utenti hanno segnalato che da soli, senza avere a disposizione quella sana capacità di confronto e conforto, non sarebbero riusciti a vincere l’inerzia e avrebbero abbandonato il percorso.

Un’altra importante gratificazione è stata rappresentata dal raggiungimento di un buon peso-forma e molti utenti hanno condiviso con i sanitari il desiderio di mantenerlo seguendo uno stile di vita più sano e modificando le proprie abitudini alimentari. Parte dell’attività infermieristica è costantemente dedicata alla divulgazione di corretti stili di vita e a un preciso monitoraggio dei parametri vitali e antropometrici dei pazienti in terapia psicofarmacologica. Molto apprezzato dagli utenti è il sostegno fornito nelle scelte dietetiche e alimentari; in queste occasioni vengono suggeriti gli strumenti per mettere in pratica nella quotidianità le indicazioni di consulenze dietologiche e specialistiche in linea con gli obiettivi del “Progetto Monitoraggio della salute e promozione di corretti stili di vita” della Regione Emilia-Romagna.

Alla fine delle attività motorie, la vergogna, l’imbarazzo, la paura e altre emozioni negative hanno lasciato spazio a una vibrante affettività positiva: “Vorrei uscire più spesso in gruppo”. I gruppi che funzionano si adattano al singolo, lo fanno sentire partecipe, voglioso di nuove iniziative. Molti hanno affermato di essere “più sicuri di sé stessi” e questo, dal nostro punto di vista, è un grande successo. In questo concetto si racchiude il baluardo della resilienza. In questa frase non ci sono sanitari, non c’è il gruppo, ma solo il singolo consapevole delle proprie capacità, faccia a faccia con le sue debolezze. Non vogliamo sorreggere i nostri pazienti bensì fornire loro strumenti e abilità da poter utilizzare in una realtà certamente dolorosa e complessa, ma dalla quale non si vuole più scappare e della quale si vuole essere comunque protagonisti. In questa realtà in cui si volge lo sguardo verso ciò che si ha e non su ciò che manca, vorremmo che i pazienti trovassero le risorse dentro di sé.

Siamo grati agli infermieri del CSM Borgo-Reno senza i quali non si potrebbe garantire un’offerta terapeutica così ampia e personalizzata. Ci complimentiamo con i nostri utenti per il coraggio, la motivazione, la forza di volontà che hanno manifestato e rivolgiamo loro l’invito di condividere sempre i propri bisogni e di raccontare i propri sogni.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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