• Home
  • documenti
  • Articoli
  • Pietro, l'uscita dall'alcolismo e la ricerca continua di un equilibrio

Pietro, l'uscita dall'alcolismo e la ricerca continua di un equilibrio

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Il primo passo è l’umiltà. Quella di riconoscere i propri problemi, di presentarsi davanti a una persona cara, a un professionista, a un gruppo seduto in circolo. È il primo passo, perché nessuno ti giudicherà.

Foto Alcolismo

Pietro il giorno della sua testimonianza sedeva ingobbito in una grande aula universitaria davanti a decine di giovani studentesse mai viste prima, per rivivere, occhi bassi al pavimento, il suo doloroso percorso di ex alcolista. Per molti un affascinante racconto di redenzione; per Pietro la ricostruzione di un lungo periodo di buio, quello della dipendenza che ti trasforma in altro da te minando i ponti che ti legano alla vita reale, facendoli deflagrare uno alla volta: prima il lavoro, poi le abitudini quotidiane, quindi le disponibilità economiche, le amicizie e infine gli affetti familiari.

Non ci sono percorsi lineari e lenti, non ci sono somiglianze nelle esperienze, situazioni sempre uguali o già viste. “Il mio alcolismo è stato repentino e violento. Dal bere sociale, in compagnia, mi sono trovato immediatamente nella dipendenza”. Una sostanza disponibile negli scaffali dei supermercati, accettata, pubblicizzata, quella della balla che “qualche bicchiere a tavola fa bene”. Uno dei tanti veleni in commercio legalmente, di quelli che creano dipendenza.

Ho cominciato a bere a 37 anni e quel bicchierino zittiva le mie ansie interne. Ma col tempo quel bicchierino è aumentato progressivamente”. Pietro lavorava in banca. Forse era lo stress, una costituzione nervosa diversa da quella di altri colleghi, sta di fatto che l’alcol diventa automedicazione, ansiolitico fai-da-te. E da quel bicchierino Pietro passa a qualche bicchiere. Una crescita esponenziale dovuta a chissà quale chimica del cervello che chiede con insistenza di rimanere spento, in pace. E con quella pace presunta, quello stato comatoso così simile a un prolungato suicidio Pietro comincia a fare i conti con gli effetti nella vita reale. “Con l’alcolismo ormai conclamato non potevo più andare al lavoro. Non ne ero in grado, non volevo, non ce la facevo”.

Come per una depressione maggiore è la forza di volontà a cedere per prima. Gli stimoli vitali si spengono, il corpo diventa un corpo morto, privo di elettricità vitale e tutto viene avvolto da una stanchezza senza fine e senza riposo, perché le angosce, i sensi di colpa si moltiplicano e il farmaco è l’alcool. “Sono arrivato a un punto della mia vita in cui vivevo per bere e bevevo per vivere. Niente altro. Non esisteva più giorno e notte. Entravo in casa, andavo in camera, mi rinchiudevo, non mi alzavo più per andare a mangiare o per andare in bagno”.

Nel rinunciare alla vita si rinuncia innanzitutto alla cura di sé. Pietro si arrangia nei 2 metri quadri di una camera da letto. “Avevo una moglie e due figli. Quando tornavo a casa i ragazzi andavano subito dagli amici oppure si chiudevano in camera”. Imbarazzo, rabbia, timore di scoppi di violenza? La vita dell’alcolista è quella di un emarginato. “Dalla mattina alle 6 iniziavo a bere finendo la giornata contando 2 bottiglie e mezzo di grappa prosciugate. Gattonavo in casa per bere un bicchiere d’acqua e, gattonando, tornavo a letto”.

Non essere soli, in mezzo a una strada, è il primo passo verso il recupero. Con tanta pazienza la famiglia lo indirizza verso le strutture specializzate. “Al Maggiore avevo trovato un grande supporto. Stavo dentro un mese e uscivo completamente ripulito”. Ma la forza di volontà di Pietro era ancora debole, il percorso di disintossicazione appena all’inizio e quando usciva dal ciclo di cure del Maggiore ricominciava a bere. “Notando le mie ricadute il dottor Gerardo Astorino suggerì di frequentare il gruppo degli alcolisti anonimi. Accettai più per sfinimento che per convinzione. Alla prima riunione mi presentai pieno di alcol e non ricordo assolutamente cosa successe e cosa venne detto. Ma evidentemente le parole erano rimaste in testa e lavoravano lentamente”.

Lo stato di salute psicofisico di Pietro nel frattempo si era notevolmente deteriorato, tanto che in famiglia erano convinti che sarebbe morto a breve. “Nel 2004, in aprile, mi resi finalmente conto che non mi lavavo, non mi vestito decentemente. Ho preso consapevolezza di quanto mi stava succedendo”.

Le parole avevano lavorato operando una sorta di risveglio della coscienza, facendogli prendere atto lucidamente della condizione in cui era precipitato. “Ho chiamato un gruppo di persone dell’Auto Mutuo Aiuto che sono venute a sostenermi a volte anche in casa”. E, reazione incredibile, automatica e dettata da chissà quale sviluppo inconscio del pensiero, il mattino del 21 aprile del 2004 Pietro si sveglia con il desiderio di fumare ma non di bere. “Ho cominciato a modificare le abitudini e ho eliminato l’alcol passo dopo passo, definitivamente. Credo sia stata la somma degli aiuti nel tempo che mi abbia portato a questo risultato”.

Ora Pietro è “pulito”, come sentiamo dire dai personaggi della finzione cinematografica. Lo è da anni ma è conscio che, una volta caduti e usciti dalla dipendenza, il percorso della vita è comunque incidentato e il rischio di ricadute è dietro l’angolo. È la consapevolezza che unisce chi ha una dipendenza cronica a un disturbo mentale cronico: bisogna capire (nonostante le fuorvianti illusioni di alcuni familiari) che ogni sforzo dovrà andare verso la ricerca di un equilibrio, non di una miracolosa guarigione. Pietro lo spiega benissimo riguardo la sua dipendenza, che purtroppo cova incandescente sotto le ceneri spente dalla sua forza di volontà e dall’aiuto ricevuto: “Noi alcolisti siamo il popolo delle 24 ore: cercherò di non bere dalla mattina fino a che non andrò a dormire. Domani si vedrà”. Intanto portiamo a casa il risultato di oggi nello sforzo di ritrovarsi domani, dopodomani e fra giorni e mesi ancora lucidi e “puliti”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

Scorciatoie

Sogni&Bisogni

Associazione Cercare Oltre

presso Istituzione Giancarlo Minguzzi
Via Sant'Isaia, 90
40123 Bologna
Codice Fiscale: 91345260375
email: redazione@sogniebisogni.it

Privacy&Cookies

Privacy Policy Cookie Policy