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Storia di Andrea, dalla dipendenza ai gruppi AMA

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Auto Mutuo Aiuto (AMA). Un modello che abbiamo visto decine e decine di volte nei film hollywoodiani. Un gruppo di persone con problemi di dipendenza da sostanze che si trovano in circolo a raccontarsi e sfogarsi davanti a persone che possono capire i loro problemi perché li hanno sperimentati sulla loro pelle.

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Questa idea statunitense così celebre nei racconti cinematografici (rivelandoci la portata enorme del problema delle dipendenze) è stata mutuata anche in Italia e, quindi, a Bologna.
Il gruppo AMA può essere luogo di accoglienza dei disagi, di coloro che manifestano disturbi. Sono tutti spazi che possono essere uno sportello di ingresso e di informazione prima di rivolgersi a chi possa formulare una diagnosi. Partecipare a un gruppo AMA non vuole dire sostituirsi ai servizi sanitari. Lo testimonia un protocollo regionale che mette in relazione collaborativa i gruppi di auto mutuo aiuto e gli operatori sociosanitari.

Il tavolo dedicato ai Gruppi AMA svoltosi il pomeriggio prima della restituzione plenaria tenutasi in piazza Lucio Dalla il 14 ottobre è stato uno dei pochi che abbia avuto una modalità frontale: davanti a una numerosa platea di studentesse universitarie, persone con dipendenze e familiari che partecipano ai gruppi AMA si sono per l’ennesima volta confessate in pubblico, questa volta superando coraggiosamente l’ambito solitamente riservato ai dipendenti da sostanze.
Per comprendere il disagio nel modo più empatico non esiste nulla di meglio che ascoltare le testimonianze drammatiche di chi lo vive o lo ha vissuto. L’insegnamento è che vincerlo vuole dire raggiungere un equilibrio in cui si riesce a dominarlo, vederlo davanti a sé, percepirlo dentro di sé, ma riuscire comunque a vivere una nuova vita matura e consapevole.

La dipendenza è come un labirinto. Si entra facilmente ma trovare nel percorso contorto l’uscita è difficilissimo. Andrea è riuscito a combattere la ludopatia nonostante non esistano rimedi farmacologici. Ci si può appoggiare alla psicoterapia o a persone che abbiano vissuto la stessa esperienza, ma il cambiamento dipende solo dal singolo.
Andrea ha vissuto tre vite. La prima era quella della giovinezza, fatta di spensieratezza, che si è interrotta dopo i vent’anni.

Il suo ingresso nel labirinto è avvenuto una sera quando, nella noia del caldo estivo, ha deciso con pochi amici di entrare all’Ippodromo, dove non era mai stato prima. Dopo una birra a un tavolo si unisce agli scommettitori per semplice curiosità e punta la sua prima somma di denaro. Quella sera non vince nulla e tutto sembra interrompersi esattamente come era iniziato. Qualche sera dopo la noia riporta Andrea e gli amici a tornare all’ippodromo, dove avevano provato il brivido della novità. Invece di una sola scommessa questa volta punta su più corse. Da quel secondo appuntamento con il gioco parte un’escalation rapidissima. La sua seconda vita, quella del giocatore compulsivo. “Non avevo bisogno di denaro perché in famiglia stavamo molto bene. Ho provato qualcosa che non avevo mai provato prima e che mai avrei provato dopo. Neppure con il matrimonio né con la nascita di mio figlio. Negli anni Settanta c’erano case dove si giocava a poker o blackjack. C’erano le bische clandestine, le sale scommesse. Avevo ereditato la conduzione dell’azienda di famiglia: la mattina uscivo con la mia ventiquattrore e invece che andare a lavorare prendevo un aereo e andavo a Napoli, a Palermo, a Roma a giocare. Tornato la sera a casa mentivo alla mia famiglia raccontando una giornata lavorativa che era di pura fantasia”.

Il gioco trasforma Andrea in una persona violenta e nervosa: tutto doveva girare attorno alle scommesse senza che ci fosse nessun impedimento. “Ho perso tanti soldi, appartamenti, un capitale importante senza che nessuno mi scoprisse. Vivevo una doppia vita. Sono arrivato a rivolgermi agli strozzini, alla malavita. E mi sono trovato una pistola puntata alla tempia”.

In queste circostanze, dove si continua una caduta libera verso un baratro sempre più profondo, deve avvenire qualcosa che freni la caduta. Per Andrea è stata una busta sul tavolo di cucina contenente una lettera della banca in cui il direttore gli comunicava che il debito accumulato lasciava solo l’azienda e la casa d’abitazione. La moglie lo lascia e Andrea rimane solo: la condizione ideale per il giocatore compulsivo. Non esiste più nessun ostacolo. Quando la strada sembra ormai segnata arriva la terza vita di Andrea, quella della rinascita, che si manifesta attraverso il soccorso affettuoso della moglie, tornata per portarlo alla riunione di un’associazione di Auto Mutuo Aiuto per giocatori. “Ai primi incontri il confronto con gli altri mi faceva sentire diverso dalle persone che avevo davanti, per le quali provavo un arrogante compatimento. Ma col tempo mi accorsi che erano esattamente come me. Iniziando ad ascoltare il racconto della loro disperazione mi sono trovato come davanti a uno specchio. E da lì è cominciato un lento processo di cambiamento che mi ha portato a esercitare la possibilità di scegliere autonomamente per la mia vita, senza essere schiavo di nulla”.

Andrea ha radicalmente cambiato stile di vita. Non va più in vacanza alle Maldive, non si concede più i lussi di un tempo, merce di cui si circondava per mostrare agli altri la propria presunta superiorità sociale. Ora vive una vita più dimessa ma serena. “Quel poco che ho adesso è la cosa più preziosa: la libertà”.
Il 22 maggio del 2009, dopo trentasette anni di dipendenza, Andrea ha smesso di giocare. Oggi è il responsabile di quell’associazione di Auto Mutuo Aiuto in cui era entrato per tornare a vivere.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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