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Antonella, Sonia e gli altri: i genitori di bambini e adolescenti con autismo si raccontano

aggiornato al | Staff | ARTICOLI

di Laura Pasotti, redattrice di Sogni&Bisogni

La musica a tutto volume e i palloncini azzurri accolgono chi si avvicina al gazebo che Angsa Bologna ha allestito in piazza Re Enzo. È il 2 aprile, la Giornata mondiale per la consapevolezza sull'autismo, e in tanti indossano cappellini con le paillettes blu (il colore associato a questa giornata) e magliette bianche su cui si legge “Keep calm I'm autistic”, la maggior parte, infatti, sono genitori di bambini e adolescenti con autismo.

Foto Angsa2aprile2022

Sul banchetto ci sono uova di cioccolato e piantine fiorite per chi vuole sostenere l'associazione. “Abbiamo deciso di venire in piazza quest'anno, in mezzo alla gente, per parlare di autismo e fare raccolta fondi con la vendita di piantine e uova di cioccolato”, dice Marialba Corona, presidente di Angsa Bologna e mamma di un ragazzo di 20 anni nello spettro autistico. Ma non è così semplice avvicinare le persone.
Queste giornate servono anche per entrare in contatto con quelle famiglie che faticano ad accettare questa disabilità, che preferiscono rimanere nascoste – racconta Corona – Le vediamo avvicinarsi al banchetto, qualcuna finge di avere un figlio normodotato, magari prende il nostro volantino. E chissà, forse, tra qualche mese verrà a conoscerci”.

Genitori ed educatori in piazza
Sonia è la mamma di Francesco, un bambino nello spettro autistico di sei anni. Anche lei ha scelto di essere in piazza per far acquisire consapevolezza sull'autismo: “Stamattina un bambino si è avvicinato per prendere un palloncino, poco dopo la madre lo ha riportato e mi ha detto 'preferisco non vedere' – racconta – Non credo si tratti di cattiveria, ma di ignoranza. La gente pensa che le persone autistiche siano geni oppure incapaci, ma in mezzo c'è il mondo, ci sono bambini, adolescenti e adulti che danno la possibilità di scoprire la diversità, che per me è una ricchezza. Avere momenti di condivisione come quello di oggi aiuta ad avvicinarsi a questo mondo e a non averne paura”.

Ad allungare i volantini di Angsa ai passanti c'è anche Antonella, mamma di Elisa, 23 anni, cieca, perché nata con un'anoftalmia bilaterale, e autistica. “A chi prende il nostro volantino, non chiedo una donazione ma di leggerlo, di informarsi sull'autismo – dice – perché vorrei che mia figlia non venisse più guardata con stupore ma considerata una variante della norma. È chiaro che il suo sviluppo è parafisiologico, ma è una persona con la stessa dignità di tutti gli altri. Ecco perché sono qui oggi”.

Manuel è in piazza con il figlio Niccolò di 8 anni: “Sono qui per far conoscere ai cittadini che cos'è l'autismo. Sono il papà di un bambino nello spettro autistico, sono caduto dentro questo mondo e sento il dovere di raccontare che cosa vuol dire e quali sacrifici si fanno”.

In piazza ci sono anche Laura e Ilaria, educatrici scolastiche e volontarie per Angsa su vari progetti. “Non c'è una prassi comune nel fare l'educatore – racconta Laura - che sia una diagnosi di autismo o altro, l'impronta è sempre uguale: si parte dal bisogno del bambino”. Ilaria è d'accordo: “Cerchiamo di essere un ponte per migliorare la qualità di vita di questi bambini. Ma non vogliamo definirli attraverso l'autismo o la disabilità, sono prima di tutto bambini e cerchiamo di aiutarli per far capire che anche se siamo tutti diversi, siamo tutti uguali, siamo persone”. Laura e Ilaria parlano di una situazione scolastica molto inclusiva che cerca di formarsi, rendendosi più consapevole. “Abbiamo fatto molta formazione grazie ad Angsa. Inoltre, nelle città blu amiche dell'autismo educatori e insegnanti sono formati per sapere come intervenire e relazionarsi con bambini nello spettro ed è molto importante – raccontano - La formazione è quella che fa la differenza, oltre naturalmente all'empatia”.

Le difficoltà delle famiglie
Le diagnosi difficili o in clamoroso ritardo. Le notti insonni. La solitudine. La mancanza di formazione e di personale. Le battaglie continue per ottenere ciò che è dovuto. E poi il sollievo di aver trovato il sostegno di Angsa e la possibilità di confrontarsi con altre famiglie. Sono le parole che ritornano nei racconti di Antonella, Manuel, Sonia e Marialba. Situazioni comuni a questi genitori, ma poco conosciute.

Per la figlia di Antonella, la diagnosi di autismo è arrivata tardissimo, a 13 anni: “Non hanno cercato le cause finché non lo abbiamo fatto noi. Fino ad allora, mi sono sentita incolpare perché Elisa non aveva un normale sviluppo motorio: la colpa era mia che ero tornata a lavorare”. È al Centro Benedetta d'Intino di Milano che Antonella e la sua famiglia hanno sentito parlare per la prima volta di autismo, Elisa aveva 11 anni. “Per noi è stato uno shock, ma lì mia figlia ha ritrovato la voglia di comunicare. Prima aveva 4 o 5 comportamenti problematici al giorno dovuti alla frustrazione di non riuscire a esprimersi. Al centro ha imparato la lingua dei segni tattili, una meravigliosa scoperta, e noi abbiamo cominciato a capirla, prima non c'eravamo mai riusciti così bene”.

Anche Manuel racconta di ritardi nella diagnosi: “Quando Niccolò aveva due anni ci siamo rivolti alla Neuropsichiatria dell'infanzia ma prima di ricevere una diagnosi sono passati due anni e mezzo. E fin quando non c'è un pezzo di carta che lo certifica, non si può accedere a niente, nemmeno all'educatore a scuola”. Oggi Niccolò fa la seconda elementare, ha un educatore e l'insegnante di sostegno e fa logopedia due volte alla settimana: “Lo aiuta a esprimersi meglio, ma alla sua età dovrebbe fare Aba (analisi applicata al comportamento, ndr)”, dice Manuel che lamenta la poca formazione sul tema e il fatto di dover combattere ogni giorno per ottenere qualsiasi cosa. “L'analista comportamentale a scuola fa il bene di tutta la classe, non solo dei bambini con autismo, ma per averlo bisogna chiedere l'autorizzazione all'istituto e basta anche il no di un solo genitore perché non entri – racconta – Credo che in presenza di una certificazione, dovrebbe essere la scuola a prendere la decisione”.

All'inizio per Sonia ci sono stati soprattutto lo spaesamento del dopo diagnosi e la solitudine. “Abbiamo avuto le prime avvisaglie quando Francesco aveva 9 mesi e abbiamo chiesto agli educatori del nido di controllare, verificare, guardare, perché noi non sapevamo dare un nome a quello che vedevamo. Ma ci dicevano che eravamo troppo apprensivi e che con il tempo le cose si sarebbero sistemate. Poi una pedagogista ha ipotizzato l'autismo e così abbiamo avviato l'iter e iniziato le terapie”. C'è voluto del tempo prima di trovare Angsa e Sonia è convinta che avere l'appoggio dell'associazione fin da subito sarebbe stato di grande aiuto: “Avere un confronto con altri genitori che hanno vissuto e stanno vivendo la tua stessa esperienza, ti fa sentire meno solo”.

Oggi Francesco ha sei anni e va in prima elementare. “Si trova bene ed è felice ma siamo sempre in lotta con le insegnanti che tendono ad adagiarsi sulla diagnosi - spiega Sonia - Un esempio? Sono l'unica mamma che ha dovuto fare un incontro con la dirigente scolastica perché mio figlio avesse il registro elettronico come tutti gli altri bambini, mi dicevano che fa un programma diverso e quindi non gli serviva. Ora ce l'ha, ma solo per la mia insistenza”.

Il sostegno di Angsa
Il sostegno di Angsa è stato ed è per molte famiglie indispensabile. Uno dei modi in cui l'associazione le aiuta e favorisce lo sviluppo delle capacità dei loro figli sono le giornate e i weekend di sollievo, che vengono organizzate alla Barca Blu, la sede di Angsa a Bologna, e a Pieve del Pino, la sede operativa sull'Appennino a Sasso Marconi, in una casa in mezzo alla natura data in comodato d'uso da un imprenditore bolognese. “Elisa sta frequentando i sabati del sollievo e da poco ha iniziato anche a fare i fine settimana a Pieve del Pino, per noi è stata una cosa eccezionale: siamo riusciti a dormire 9 ore per la prima volta da tanto tempo - racconta Antonella – Inoltre, per quattro giorni alla settimana partecipa insieme ad altri ragazzi con autismo a un progetto agricolo sperimentale: è molto bello vederla lì, pensare che può stare all'aria aperta. A lei piace molto”.

I weekend del sollievo sono iniziati da poco, mentre le giornate si organizzavano anche prima della pandemia. “Facciamo attività il sabato e la domenica perché sono i giorni più difficili per le famiglie, quelli in cui si ferma tutto”, racconta Marialba Corona. Partecipano 4 o 5 persone per volta, ognuna con un educatore, e poi è presente un'analista del comportamento che stabilisce le attività in base al gruppo. “Nei weekend imparano a lavare i piatti, a riordinare, fanno giardinaggio e accudiscono gli animali, vanno a fare passeggiate così imparano a camminare composti, senza la mano – continua la presidente di Angsa - L'obiettivo è sì il sollievo delle famiglie, ma soprattutto accrescere le abilità dei bambini e dei ragazzi con autismo”.

Gli effetti della pandemia
La pandemia da covid-19 ha avuto effetti disastrosi sulle famiglie di bambini e adolescenti con autismo. “Gli ultimi due anni sono stati molto devastanti – dice Corona - Non tanto per l'isolamento, perché le famiglie con figli autistici sono già isolate, difficilmente escono a cena con gli amici o fanno vita sociale. Siamo abituati a stare soli, la cosa peggiore è che il lockdown ha fermato la routine dei nostri figli”. Corona spiega, infatti, che pochissimi tra i bambini e gli adolescenti con autismo sono stati in grado di seguire la didattica a distanza, che ha coinvolto studenti e studentesse per quasi due anni, e che solo alcuni comuni hanno messo a disposizione un educatore a domicilio. La conseguenza? “I bambini hanno perso le proprie abitudini e hanno avuto regressioni”.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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