La Povertà vitale

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di Federico Mascagni, redattore di Sogni&Bisogni

Le persone con disagio psichico che nascono in un contesto di povertà sono particolarmente vulnerabili, perché soggette a stigma, discriminazione, maggiore rischio di violenza fisica e sessuale. Inoltre come la povertà incrementa il rischio di sviluppare un disturbo psicopatologico, così avere un disturbo incrementa la probabilità di scivolare in una sacca di povertà.

Foto Povert

Questo è il punto focale attorno al quale ruota il libro “La Povertà Vitale” di Alberto Siracusano, professore ordinario di psichiatria all’università romana di Tor Vergata, e di Michele Ribolsi, ricercatore presso lo stesso ateneo. Un libro scientifico che nasce in seguito alle ricerche più recenti in campo genetico e sociale.

Per gli autori una data fondamentale per la Salute Mentale è il 1977, quando viene definito il paradigma bio-psico-sociale: un disturbo è il prodotto dell’interazione tra cause biologiche, psicosociali e psicologiche individuali. Per lo sviluppo di una psicopatologia sono fondamentali i fattori genetici, pre e post natali, la neurotrasmissione, il livello socio-culturale, la coesione sociale, la stabilità familiare, il contesto socio-economico. E ancora l’autostima, le capacità adattative.

Il modello accreditato più recente è la teoria del network dei sintomi: in sintesi, i disturbi del neurosviluppo sono sovrapponibili con la schizofrenia e i disturbi bipolari. Fattori ambientali generici (infezione, attivazione immunitaria, malnutrizione, stress) e predisposizione genetica specifica presi in considerazione assieme segnano lo sviluppo di traiettorie patologiche ben precise a secondo del loro intreccio.

Le relazioni sociali influiscono sulla Salute Mentale e viceversa. È il modello del social brain (cervello sociale): “Il social brain è influenzato dal nostro sistema di relazioni interpersonali, dalla nostra partecipazione alla vita sociale, dal tipo di lavoro che svolgiamo oltre che, ovviamente, da tutti i fattori sociali, economici e culturali che caratterizzano la nostra vita. È evidente che, per un bambino, il cervello sociale sarà tanto più sviluppato quanto più il bambino sarà stimolato all’interno della propria famiglia: maggiori saranno gli stimoli culturali, relazionali, valoriali, esplorativi, maggiore sarà la crescita di questa funzione cerebrale.”

L’ultimo modello preso in considerazione dagli autori è quello del social defeat (sconfitta sociale). Una vulnerabilità genetica unita a elementi come traumi infantili, la crescita in un contesto urbano marginale, un basso quoziente d’intelligenza, i disturbi psichiatrici, la migrazione, l’uso di sostanze, possono determinare un fallimento nella competizione a cui siamo costretti nella vita con gravi conseguenze psicologiche o sociali. Alcuni esempi di social defeat sono l’incapacità di trovare e mantenere un lavoro, non riuscire ad avere relazioni stabili e soddisfacenti, non essere in grado di adattarsi a fattori di stress ambientali.

Con lo studio dell’epigenetica si è osservato come geni e ambiente interagiscono in modo molto forte tra loro condizionandosi a vicenda. La povertà insieme alla disuguaglianza sociale e il rischio di modificazioni epigenetiche porta a disturbi della Salute Mentale. Per quanto riguarda la povertà è bene sottolineare che non ne esiste un solo tipo. La povertà assoluta si basa sulla disponibilità di denaro necessario a soddisfare beni primari (cibo, vestiti, abitazione). Di là dai preoccupanti dati dell’Istituto Europeo di Statistica, che ha individuato nel 2017 un totale di 4 milioni e 742 mila individui in Italia in condizione di povertà assoluta (dato in crescita), chi conosce la condizione degli utenti della Salute Mentale sa che la maggioranza di essi vive in povertà assoluta e non è in grado autonomamente di uscirne. Questo perché viviamo in una società competitiva non costruita per essere inclusiva delle diversità. Quando a questa condizione si aggiunge la difficoltà d’accesso alle prestazioni dei servizi socio-sanitari e all’isolamento relazionale si parla di povertà estrema (i senza fissa dimora). Infine un concetto nuovo di povertà che si sta diffondendo socialmente è quello della povertà domestica e riguarda la solitudine di due fasce fragili come gli anziani e gli adolescenti.

Lo stato socio economico (SES) è correlato in modo diretto con la percezione delle relazioni spaziali, memoria di fatti ed eventi, controllo cognitivo, abilità linguistiche e memoria a breve termine. Maggiore è il SES migliori sono nell’individuo le condizioni prima indicate. Studi condotti con la risonanza magnetica strutturale (MRI) hanno dimostrato che maggiore è il reddito economico familiare più ampia è la superficie corticale. Si tratta di una correlazione statistica che non implica necessariamente un rapporto di causalità, ma è comunque significativa. Inoltre bisogna tenere presente che nessuno di questi studi ha ricordato le risorse individuali, psico-emotive, come ad esempio la resilienza e altri fattori di protezione che possono consentire a un individuo che parte da condizioni svantaggiate di annullare lo svantaggio in modo da ottenere risultati di prima qualità.

Esistono delle condizioni che sono considerate dei mediatori della malattia. E che dalla malattia conducono alle povertà: l’isolamento sociale e l’assenza di interazioni al di là di quelle necessarie a scopi di sopravvivenza incidono addirittura sul rischio di morte al pari di patologie come il diabete, le neoplasie o le disfunzioni del sistema cardiovascolare. Poi c’è la loneliness, un sentimento di dolore, una percezione soggettiva di una discrepanza tra le relazioni interpersonali desiderate e quelle vissute nella realtà. La precarizzazione, la destabilizzazione e disgregazione riguardanti il mondo del lavoro, il fenomeno degli esodati: tutti elementi riuniti sotto il termine di dis-affiliazione. Insomma, la rottura dei legami sociali, la perdita della garanzia di un’integrazione sociale e della sicurezza lavorativa rappresentano una condizione drammatica che può portare danni alla Salute Mentale.

La disoccupazione rappresenta non solo un fattore di rischio certo per lo sviluppo di quadri clinici psichiatrici ma, come ormai testimoniato da diversi contributi scientifici, anche per il suicidio.” La fascia maggiore di disoccupati è quella under 30 dei NEET, acronimo che sta per “Not in Education, Employment or Training”, cioè non iscritti all’università, senza lavoro e che non seguono corsi di formazione. Si tratta di persone ritirate dalla vita sociale che preferiscono chiudersi in una situazione di isolamento. Rischiano psicopatologie, sia sul versante affettivo che psicotico. Cala l’autostima, si perde la fiducia nelle proprie capacità, si sviluppano sensi di colpa per non essere in grado di collocarsi nel mondo. Altre volte il meccanismo produce ideazioni paranoiche.

Una parola chiave del linguaggio della Salute Mentale è stigma, cioè quando sono presenti dei pregiudizi e comportamenti discriminatori diretti verso persone con problemi di Salute Mentale (stigma sociale). Un’indagine condotta su 1700 adulti nel Regno Unito ha mostrato che i convincimenti più comuni sono che le persone con problemi mentali, in particolare con schizofrenia e dipendenze, sono quelle più pericolose; che i disturbi alimentari e le dipendenze sono auto-inflitti; che è difficile parlare e relazionarsi con le persone con disturbi. Ma esiste anche lo stigma percepito, vissuto intimamente dalla persona che soffre, che porta a una auto-discriminazione per la vergogna che prova per la propria condizione. Una condizione che può portare a peggiorare la prognosi dei disturbi mentali.

C’è poi chi parte con un bagaglio pesante pieno di paure, persecuzioni, violenze, separazioni dalla famiglia. Sono i migranti. Dopo lunghi percorsi molti troveranno al loro approdo isolamento sociale, povertà, discriminazione, disoccupazione. I più fortunati che hanno una condizione di forte resilienza potranno trovare strategie per la sopravvivenza. Altri possono andare incontro a disturbi psichiatrici, alimentati da un contesto estremamente ostile. Questi disturbi, come indicato sopra, si possono trasmettere ai figli, in un ciclo vizioso di trasmissione disadattiva.

In conclusione: cos'è la povertà vitale? È il risultato di molteplici privazioni subite: quella materiale, quella relazionale, quella affettiva, quella valoriale. È una povertà quindi trasversale, che può toccare qualsiasi ceto, perché si inserisce nel contesto sociale in cui viviamo che è stato pensato e costruito per i “normodotati”. Un modello che prevede responsabilità, regole e opportunità pensate per i normodati.

Stiamo passando un periodo di crisi pandemica ed economica che gli autori del libro, pubblicato nel 2018, non potevano prevedere. Un periodo in cui la comunità ha ulteriormente sofferto la lontananza relazionale, la reclusione solitaria, la precarizzazione del lavoro e l’aumento verticale della disoccupazione. Tutti elementi che hanno colpito indistintamente tutti, con ovvia severità per le fasce più fragili: gli anziani, gli adolescenti, i marginalizzati.

Come rispondere a questo quadro complesso? Gli autori allora indicano elementi ancora attuali, come maggiori risorse per le istituzioni sanitarie e scolastiche, un mondo del lavoro ripensato per chi soffre maggiormente gli stress, un contesto che avvicini la relazione e non la filtri sempre più attraverso un media ambiguo come il web. Questo libro insegna anche che un contesto familiare dovrebbe essere messo in grado di essere accogliente e affettuoso, che dovrebbe esserlo anche in fase prenatale attraverso la cura della propria salute. Traumi psicologici, stili di vita non salutari e in generale contesti fonti di forti stress sono le cause principali di quell’intreccio fra plasticità cerebrale, infiammazione neurovegetativa e condizione economica ai quali, per la gran parte, devono provvedere tutti coloro che, in forma collettiva, possono attuare un cambiamento nelle condizioni esistenziali schiacciate dalla disuguaglianza.

La risposta al problema di una cattiva condizione della Salute Mentale deve passare attraverso un cambiamento sociale, degli stili di vita, della cultura.




 

Marco Cavallo - simbolo della chiusura dei manicomi

La Terra Santa

...quando amavamo
ci facevano gli elettrochoc
perché, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno...

Versi tratti da "La Terra Santa"
di Alda Merini
Una raccolta di poesie che l'autrice scrisse quando era rinchiusa nel manicomio Paolo  Pini, di Milano.

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